ASTRONOMIA DELLE POPOLAZIONI ALPINE
TRACCE ARCHEOLOGICHE ED IPOTESI DI RICERCA
Prof. Adriano Gaspani
L’Astronomia delle Popolazioni Celtiche
La capacità di percepire i ritmi della natura e di vivere in armonia con
essa fu un fatto essenziale nel mondo preistorico e protostorico. Fu
così anche per i Celti, come per altre popolazioni dell’Età del Ferro,
essendo la loro, una società la cui economia era prevalentemente
rurale. Il Sole e la Luna con i loro movimenti ciclici furono
fondamentali dal punto di vista della divisione del tempo e dello
sviluppo del calendario. In questo modo la Luna permetteva di dividere
il tempo in settimane, quindicine e mesi, mentre al Sole spettava il
compito di scandire l’anno. Il Sole, a causa del suo moto, sorge ogni
giorno un poco più tardi rispetto alle stelle, quindi una stella sorge e
tramonta circa quattro minuti prima rispetto al giorno precedente. Ciò
significa che una costellazione che in un determinato periodo dell’anno
sorge e tramonta assieme il Sole non è visibile. Sei mesi dopo essa
sorgerà dodici ore prima del Sole e sarà quindi visibile durante tutta
la notte.
Per questa ragione tutte le costellazioni vicine all’eclittica sono
visibili in media per sei mesi all’anno. Potremo quindi parlare di
costellazioni “estive” e “invernali”. Anche i pianeti si spostano nel
cielo, Mercurio e Venere percorrono le loro orbite tra la Terra e il
Sole rimanendo sempre abbastanza prossimi ad esso e si possono osservare
alternativamente verso est subito prima dell’alba e verso ovest subito
dopo il tramonto. Marte, Giove e Saturno percorrono le loro orbite
oltre quella della Terra quindi possono essere visibili per lungo tempo
durante tutta la notte. Anche loro anticipano ogni giorno la loro
levata, ma talvolta a causa del moto retrogrado sembrano invertire la
direzione del loro moto per sorgendo in ritardo rispetto al giorno
precedente.
I Celti facevano riferimento a corpi celesti quali la Luna e le stelle.
L’importanza della Luna è stata documentata da molti autori latini e in
maniera oggettiva dalla struttura del calendario celtico di cui un
esempio è inciso sui frammenti di una tavola di bronzo trovata a Coligny
(regione dell’Ain, nella Francia meridionale) nel 1897. Prima di
parlare del ruolo delle stelle conviene ricordare le conoscenze
astronomiche dei Celti a partire dalle feste che essi celebravano
durante l’anno.
Spada lateniana con
incisi il Sole e la Luna
Spada lateniana con
incisi i simboli del Sole e della Luna
Le Feste Celtiche
L’esistenza, durante l’anno celtico, di molte festività è un fatto noto
e ben documentato dai reperti archeologici, dalla storiografia antica e
dalle tradizioni che ancora oggi vengono celebrate in svariate località
dei paesi europei, soprattutto in Bretagna e in Irlanda. Tra le feste
che venivano celebrate durante l’anno, quattro di esse rivestivano un
particolare significato sia dal punto di vista della solennità che della
ritualità. Tali feste erano, in ordine cronologico lungo l’anno celtico,
Trinvxtion Samoni, Imbolc, Beltane e Lughnasa.
La festa di Trinox Samoni, o meglio Trinvxtion Samoni, letteralmente:
“le tre notti di Samonios”, primo mese del calendario, corrispondeva
all’inizio dell’anno. La festa inaugurava il periodo durante il quale
era la notte a prevalere sul giorno, le bestie venivano radunate e
chiuse in recinti per svernare.
Le altre tre feste corrispondevano ciascuna alla celebrazione di una ben
determinata divinità. La festa di Imbolc era dedicata alla dea Brigh,
cioè la dea Belisama, ispiratrice delle arti e dei mestieri. Brigh o
Bricta sono il nomi che in celtico hanno entrambi il significato di
“luminosa”, mentre presso i Britanni essa era denominata Brigantia, che
significa “altissima”. Gli antichi racconti descrivono Brigh in modo
ambiguo, con il volto per metà bellissimo e per metà orrendo e con la
capacità di suscitare e guarire le malattie. Imbolc segnava
l’allentamento della morsa invernale, in questo periodo nascevano gli
agnellini e le pecore avevano latte.
Durante la festa di Beltane era venerato il dio Belenus, conosciuto
anche con i nomi di Borvo e Grannos a cui venivano attribuite capacità
mediche. In quei giorni le mandrie erano condotte nei pascoli estivi,
gli ultimi freddi erano terminati e si poteva far ingrassare il
bestiame.
La festa di Lughnasa era ritenuta la più importante di tutte in quanto
era celebrato Lug, chiamato anche Lugus, considerato la maggiore
divinità venerata dai Celti come testimoniano molti reperti archeologici
e molti toponimi. Sono infatti state ritrovate quasi cinquecento
iscrizioni votive, oltre trecentocinquanta monumenti figurati e per
almeno ventisette città europee il nome deriva dal termine gallico
Lug-dunum. Il termine gallico “Lug” significa nuovamente “brillante” o
anche “luminoso”. I suoi attributi principali erano le competenze nel
campo militare, artigianale e sacerdotale. Il termine Lughnasa significa
“raduno di Lug” e in Gallia tale festa coincideva generalmente con il
grande raduno annuale delle tribù galliche che veniva celebrato nei mesi
estivi a metà strada tra il solstizio d’estate e l’equinozio d’autunno.
In questa occasione si concludevano trattative diplomatiche e contratti
matrimoniali.
La festa di Trinox Samoni (letteralmente TRINVXTION SAMONI SINDIVOS: le
tre notti di Samonios cominiano adesso) veniva celebrata in un periodo
grosso modo equivalente all’inizio del mese di novembre nel calendario
giuliano. Questa scelta concorda bene anche con le tradizioni
irlandesi. Questo comporta che i periodi dell’anno in cui le altre tre
feste erano celebrate, secondo il calendario giuliano, siano
rispettivamente: febbraio-marzo per Imbolc, maggio-giugno per Beltane e
luglio-agosto per Lughnasa. Questo implica una distribuzione all’incirca
simmetrica delle feste durante l’anno.
Le feste sono stagionali, ma collocate in corrispondenza di quattro date
intermedie rispetto ai solstizi e agli equinozi quindi esse non sono da
ritenersi feste di ispirazione solare, ma basate su altri criteri di
natura astronomica. Le feste erano celebrazioni rituali legate alla vita
agricola e sociale della comunità quindi esisteva presso i Celti la
necessità di correlare le quattro feste con l’andamento delle stagioni
climatiche più che di quelle astronomiche.
Infatti l’agricoltura dipendeva strettamente dai cicli stagionali legati
alle variazioni del tasso di piovosità, della temperatura, dell’umidità
e questi fattori climatici, alle latitudini in cui i Celti vissero non
sono esattamente correlate con le stagioni astronomiche che vanno da
equinozio a solstizio e viceversa. Una società prevalentemente rurale
come lo era quella celtica, doveva considerare i ritmi stagionali per
dividere l’anno, piuttosto che eseguire una divisione teorica e
convenzionale come quella attuale puramente basta sulle posizione
estreme e intermedie del Sole sull’eclittica.
È quindi naturale avanzare l’ipotesi che le quattro feste potessero
essere legate a particolari eventi astronomici, importanti per
l’agricoltura, che annualmente si ripetevano i quali avessero a che fare
con il Sole, ma anche con le stelle più luminose visibili nel cielo
lungo l’anno. Tali avvenimenti ne determinavano quindi la cadenza
durante il corso dell’anno, con un buon accordo con le stagioni
climatiche locali e le feste servivano da indicatori rituali e sociali
del cambio stagionale. Potremmo quindi supporre che fosse proprio la
levata eliaca di talune stelle a determinare la data, nel corso
dell’anno, in cui le feste dovevano essere celebrate o quanto meno la
levata del Sole nei giorni in cui alcune particolari stelle levavano
eliacalmente.
Esistono diverse testimonianze di altri popoli antichi che pianificarono
le loro attività sulla base delle levate eliache delle stelle. Gli
Egiziani facevano iniziare il loro anno con la levata di Sirio, la quale
nel 2500 a.C. coincideva praticamente con la data del solstizio estivo;
circa quindici giorni dopo il Nilo straripava rendendo fertili le
pianure. Esiodo un poeta greco del VII secolo a.C., nella sua opera Le
Opere e i Giorni, consigliava ai contadini del Peloponneso di seguire il
sorgere eliaco di alcune stelle o costellazioni in quanto erano utili
indicatori dei periodi adatti per andare per mare, per seminare etc. Il
metodo delle levate eliache è molto efficiente in quanto permette una
valutazione indipendente e univoca, entro qualche giorno, su un vasto
territorio del periodo in cui una determinata festa doveva avere luogo.
Infatti il giorno di levata eliaca dipendendo dalla latitudine del
luogo, varia di circa un giorno per grado di latitudine salendo da sud a
nord nell’emisfero boreale. Le levate eliache delle stelle potevano
essere comodamente previste con notevole anticipo, il che rendeva facile
iniziare per tempo i preparativi necessari allo svolgimento delle varie
feste. Nel corso delle migliaia di anni la data in cui una stella sorge
in concomitanza con il Sole varia per effetto della precessione degli
equinozi. In vicinanza della festa di Trinox Samoni la stella in levata
eliaca durante l’età del Ferro era Antares, una stella rossa di prima
grandezza, la più luminosa della costellazione dello Scorpione. Ad
Imbolc invece era in levata eliaca Capella, una stella di colore giallo,
anche essa di prima magnitudine, situata nella costellazione
dell’Auriga. A Beltane sorgeva eliacamente Aldebaran, stella di prima
grandezza e di colore rosso che è anche la più luminosa della
costellazione del Toro. A Lughnasa invece era Sirio, la stella più
luminosa del cielo, ad essere in levata eliaca. Sirio è la stella
principale della costellazione del Cane Maggiore, posta un poco a sud
est della costellazione di Orione e il suo colore è bianco brillante. È
interessante notare che delle quattro stelle interessate solamente due,
Aldebaran e Antares, sono stelle appartenenti a costellazioni zodiacali,
rispettivamente al Toro e allo Scorpione. Le altre due Sirio e Capella
sono invece stelle posizionate lontano dall’Eclittica essendo
rispettivamente nel Cane Maggiore e nell’Auriga. La prima è situata
molto sotto l’Eclittica e l’altra molto sopra di essa.
È probabile che le varie feste, esclusa tuttalpiù Trinox Samoni che
richiedeva il rispetto anche di un vincolo lunare, venissero celebrate
nei giorni di prima visibilità di queste stelle nei bagliori dell’alba.
Dai calcoli astronomici risulta che durante l’età del Ferro, Antares
sorgeva con il Sole intorno al 16 Novembre, Aldebaran il 7 Giugno,
Capella il 18 Marzo e Sirio il 25 Luglio. Queste date sono riferite a
una latitudine tipica dell’Europa centrale, circa 47° Nord, per il 500
a.C e sono espresse rispetto al calendario giuliano esteso all’indietro.
L’esclusione di Trinox Samoni da questo criterio è motivata
dall’esistenza di vincoli addizionali legati alla fase lunare da
rispettare. Se consideriamo le annotazioni incise sul Calendario di
Coligny, siamo indotti a pensare che la festa di Trinox Samoni potesse
essere celebrata solo quando anche la Luna si fosse trovata in una
particolare fase, tra l’ultimo quarto il novilunio. Quindi Trinox Samoni
era la prima festa dell’anno celtico, che era iniziato con il mese di
Samonios e con la Luna al primo quarto, dopo che era stata osservata la
levata eliaca di Antares. Considerando le luminosità della quattro
stelle è facile notare l’esistenza di una correlazione tra l’importanza
attribuita alle divinità celebrate durante le quattro feste e la
luminosità delle stelle in levata eliaca in corrispondenza di ciascuna
festa. Prendendo in esame Sirio che è la stella più luminosa visibile ad
occhio nudo nel cielo notturno, la si vede abbinata alla celebrazione
del dio Lugh che era ritenuto il più importante nel pantheon celtico.
Ricordando anche che etimologicamente il termine Celtico “Lugh”
significa “brillante” o anche “luminoso”, l’abbinamento con la levata
eliaca di Sirio sembrerebbe essere più che giustificato. Infatti il
sorgere contemporaneo dei due astri più luminosi del cielo, il Sole e
Sirio, escludendo la Luna la quale possiede altri ruoli nel calendario
celtico, poteva essere facilmente associata ad una divinità con gli
attributi di Lugh. Nel periodo in cui veniva celebrata la festa di Lugh,
il cielo notturno era dominato dalla presenza del “triangolo estivo” che
è una caratteristica configurazione formata dalle stelle Vega, Deneb e
Altair, le stelle più brillanti rispettivamente delle costellazioni
della Lira, del Cigno e dell’Aquila. Il fatto che il triangolo estivo
fosse visibile alto nel cielo proprio nei giorni della festa di Lug
potrebbe essere significativo. Infatti la sua apparizione in cielo già
dal mese precedente poteva essere utile per annunciare che poco tempo
dopo doveva aver luogo la festa di mezza estate cioè Lughnasa. Infatti i
Druidi usavano per determinare le date delle feste anche altri astri
come punti di riferimento per monitorare il cielo, così altre
costellazioni erano tenute sotto osservazione. Durante l’età del Ferro
la levata eliaca di Sirio poteva essere agevolmente predetta molto
semplicemente determinando la data del solstizio d’estate, dopo un mese
lunare esatto sarebbe avvenuta la levata eliaca di Sirio. Se Sirio, la
stella più luminosa visibile in cielo, aveva a che fare con il dio Lugh,
una stella di luminosità un poco meno elevata, Capella sorgeva
eliacamente nei giorni pertinenti alla festa di Imbolc in cui la dea
Brigh era celebrata. Capella è una stella di colore giallo e il giallo è
anche il colore delle messi mature a cui la dea Brigh era simbolicamente
abbinata. La dea Brigh era, presso i Celti, la seconda divinità in
ordine di importanza e quindi sembra non essere casuale il fatto che la
sua festa fosse celebrata in coincidenza con la levata eliaca di una
stella un poco meno luminosa di Sirio. La festa di Beltane, dedicata al
dio Belenus, era una celebrazione in cui il fuoco giocava un ruolo
determinante. La stella che levava eliacamente durante la festa di
Beltane era Aldebaran. Il colore di Aldebaran, quando è osservata ad
occhio nudo è spiccatamente rosso e quindi risulta facile associarla al
colore del fuoco.
Le stagioni
I Celti dividevano l’anno solamente in due stagioni, quella estiva e
quella invernale. La stagione estiva, andando da Beltane a Trinox Samoni,
comprendeva l’estate vera e propria e gran parte dell’autunno, mentre la
stagione invernale era composta dall’autunno e dall’inverno propriamente
detto. I Druidi dovevano conoscere perfettamente la posizione dei punti
equinoziali e solstiziali, cioè le posizioni occupate dal Sole nel cielo
in corrispondenza dei due equinozi e dei due solstizi, ma questi punti
non furono ritenuti importanti per definire le stagioni.
Dal punto di vista climatico il transito del Sole attraverso l’equatore
celeste o il suo posizionamento agli estremi dell’Eclittica non era di
grande utilità pratica in quanto sul territorio in cui si sviluppò la
cultura celtica non avvenivano variazioni climatiche apprezzabili
correlate con questi eventi astronomici. Al contrario variazioni di
rilievo avvenivano in corrispondenza di date intermedie tra gli equinozi
e i solstizi quindi l’uso delle stelle poteva invece essere più utile ai
fini della divisione stagionale dell’anno. Appare quindi del tutto
naturale che i Celti utilizzassero le levate eliache di Antares e di
Aldebaran al fine di stabilire l’inizio dei due periodi stagionali in
cui l’anno celtico era diviso. Infatti il levare eliaco di Antares
indicava l’inizio della stagione invernale, mentre il levare eliaco di
Aldebaran l’inizio della stagione estiva, quindi l’estate andava dalla
festa di Beltane a quella di Trinox Samoni e l’inverno da Trinox Samoni
a Beltane. La differenza di circa 180 gradi in longitudine eclittica
tra le due stelle implicava che nel cielo notturno visibile durante la
stagione fredda brillasse Aldebaran, mentre durante la stagione calda
splendesse Antares.
A conferma di questa ipotesi possiamo considerare la tavoletta d’avorio
di Grand, sulla quale sono incisi dei simboli zodiacali oltre che a dei
graffiti di stile egizio. Lo Zodiaco di Grand, così come è conosciuto,
risale al II secolo d.C e rappresenta l’unica testimonianza
dell’esistenza di uno zodiaco presso le popolazioni celtiche. La
particolarità di questo zodiaco consiste nel fatto che esso è diviso in
due parti che rappresentano il periodo estivo e quello invernale, ma
soprattutto che i segni zodiacali con cui iniziano queste stagioni sono
il Toro e lo Scorpione, vale a dire proprio le costellazioni a cui
appartengono rispettivamente Aldebaran e Antares. Secondo lo Zodiaco di
Grand la stagione invernale inizia quando il Sole si trova nella
costellazione dello Scorpione e quella estiva quando è posizionato nella
costellazione del Toro.
Questo fatto è emblematico in quanto durante l’età del Ferro la
posizione dei nodi dell’orbita terreste era tale che i due punti
equinoziali si trovavano rispettivamente nelle costellazioni dell’Ariete
(Equinozio di Primavera) e della Bilancia (Equinozio di Autunno), mentre
le posizioni Toro e Scorpione erano valide nel periodo che andava dal
4000 al 2000 a.C. La scelta di Toro e Scorpione come costellazioni
demarcanti i periodi stagionali dovette essere con grande probabilità
operata sulla base di un criterio differente da quello basato sulla
posizione dei due punti equinoziali tra le stelle. Il metodo delle
levate eliache era più aderente alla realtà climatica del territorio
europeo.
La divisione dell’anno operata dai Celti basandosi sulle levate eliache
implicò una diversa durata dei due periodi stagionali. Le stagioni
astronomiche calcolate per il 500 a.C. sulla base delle date teoriche di
equinozio e di solstizio duravano: Estate+Autunno: 180.58 giorni e
Inverno+Primavera: 184.67 giorni, valori che hanno poco a che vedere con
le variazioni climatiche stagionali centro-europee. Calcolando invece
la durata delle stagioni con il calendario di Coligny si rileva che la
stagione estiva durava solamente 157 giorni in contrasto con la molto
più lunga stagione invernale che durava 208 giorni solari medi. Infatti
nel IV secolo a.C. l’inizio della stagione invernale cadeva grosso modo
il 17 Novembre del calendario giuliano e l’inizio della stagione estiva
intorno al 10 Giugno. Questi valori corrispondono molto bene con il
ciclo climatico annuale tipico delle latitudini centro e nord europee
dimostrando che la divisione dell’anno operata dai druidi sulla base
delle levate eliache fu estremamente razionale e orientata ad una
elevata efficienza in termini di pianificazione agricola. I Celti quindi
adottarono una suddivisione dell’anno che corrispondeva meglio alle loro
necessità agricole e di allevamento. Per noi adesso può sembrare
strano, ma per popolazioni la cui sopravvivenza era legata
all’agricoltura sbagliare di un mese il periodo giusto per seminare
poteva voler dire la carestia.
La struttura a due stagioni permette di ripartire stagionalmente i 12
mesi dell’anno Celtico. La festa di Trinox Samoni cadeva ovviamente nel
mese di Samonios, mentre quella di Beltane doveva quindi cadere in
corrispondenza del mese di Giamonios. A causa delle oscillazioni
dell’inizio del mese di Giamonios rispetto alla data solare in seguito
al vincolo di iniziare il mese in corrispondenza del primo quarto di
Luna, qualche volta poteva capitare che la levata eliaca di Aldebaran
cadesse nel mese di Simivisonios. La ripartizione stagionale sarà quindi
la seguente: Samonios, Dumannios, Riuros, Anagantios, Ogronnios, Cutios
e Giamonios sono da ritenersi mesi invernali, mentre Giamonios,
Simivisonnios, Equos, Elembivos, Edrinios e Cantlos sono da ritenersi
mesi estivi. Il mese di Giamonios risulta citato due volte in quanto la
festa di Beltane cadeva circa a metà di esso quindi metà mese era
invernale e metà estivo. L’uso delle levate eliache come mezzo per
fissare una determinata data nel corso dell’anno corrisponde a definire
un terzo sistema di misura temporale basato questa volta sull’anno
siderale. I primi due sistemi erano basati sull’anno solare e su quello
lunare come mostrato dal calendario di Coligny. Ricordiamoci comunque
che l’uso delle levate eliache serviva per stabilire una data
importante, per esempio quella di una festa, in rapporto ai cicli
stagionali, quindi in accordo con la posizione del Sole sulla sfera
celeste, ma l’effettiva data di celebrazione liturgica delle feste
doveva tenere conto probabilmente anche della fase Lunare proprio per il
fatto che le feste rivestivano un carattere religioso.
I Nemeton
L’analisi della struttura dei nemeton, cioè dei recinti sacri,
costruiti dai Celti durante l’età del Ferro mostra che l’Astronomia
rivestì un ruolo fondamentale sia nella scelta dei siti in cui furono
edificati sia nella loro orientazione rispetto alle direzioni
astronomiche fondamentali sia nella definizione della loro struttura
costruttiva. Non solo i luoghi sacri mostrano chiare relazioni con
l’Astronomia, ma lo stesso accade per taluni oppida, soprattutto quelli
in cui era presente una classe druidica più avanzata come era ad esempio
a Bibracte in cui una vasca rituale fu costruita tenendo conto di
particolari criteri astronomici e matematici.
La nuvolosità del cielo
Durante l’età del Ferro le temperature medie estiva ed invernale nel
centro Europa erano differenti da quelle del XX secolo. La situazione
climatica in Padania, e più generalmente in Europa nella fascia che si
stende da +30° a +60° di latitudine nord, nel VI-V secolo a.C. può
essere ricostruita sia sulla base dello studio dei resti fossili, quali
pollini di piante che anticamente crescevano in quel determinato luogo,
i quali possono fornire sia una buona stima della loro collocazione
cronologica sia delle condizioni climatiche necessarie al loro sviluppo,
sia calcolando la variazione dell’insolazione, cioè dell’energia
ricevuta dal Sole in un dato luogo in conseguenza della variazione di
orientazione dell’asse della Terra e dell’eccentricità della sua
orbita. Sappiamo dall’analisi dei reperti fossili compiuta dagli
studiosi Overbeck nel 1957 e Frenzel nel 1966, che nell’Europa centrale
nel 600 a.C. circa ebbe inizio una delle fasi climatiche molto umida che
si ripetevano mediamente ogni circa 250 anni.
La temperatura estiva media andò soggetta ad un tendenziale aumento per
tutto il primo millennio a.C. tanto che nel VI-V secolo a.C. in Europa
centrale la temperatura estiva era maggiore di circa 3-4 gradi
centigradi rispetto ai valori attuali.
Questo fatto implicava che il limite delle nevi sui rilievi fosse più
alto dai 500 ai 700 metri rispetto ad ora favorendo il valico dei passi
alpini da parte delle popolazioni celtiche dirette verso la pianura
padana. L’aumento combinato di temperatura e di umidità portò con sé,
dopo un certo tempo, un forte aumento del tasso di nuvolosità del cielo
come conseguenza, ma non solo, della maggior evaporazione dei mari.
Infatti tra il 600 a.C. e il 500 a.C. il tasso di nuvolosità media del
cielo era un pò meno di quello attuale e il numero di notti serene annue
adatte all’osservazione astronomica, nei siti posti sul territorio
padano-alpino poteva essere compreso tra 120 a 160 a seconda anche del
microclima locale. Nel 400 a.C. la situazione era di molto peggiorata
infatti il tasso di nuvolosità del cielo si era grosso modo raddoppiato
arrivando,secondo i calcoli ad un massimo intorno nel 327 a.C.
A quell’epoca il numero medio di notti serene adatte all’osservazione
astronomica si era ridotto a un numero oscillante tra 20 e 30 annue.
L’osservazione astronomica, soprattutto quella delle stelle, non poteva
più essere agevolmente portata avanti nei luoghi in cui i druidi erano
soliti osservare il cielo, quindi i santuari che erano anche veri e
propri osservatori astronomici persero la loro importanza pratica e
furono abbandonati.
Il tasso di nuvolosità del cielo è anch’esso un fenomeno quasi periodico
per cui dopo il IV secolo a.C. il cielo ritornò progressivamente ad
essere più frequentemente sereno fino a raggiungere un minimo di
nuvolosità media durante il I secolo a.C.
Le conoscenze astronomiche delle popolazioni celtiche padano-alpine
Gli archeologi, fin dal secolo scorso, sono stati in grado di mettere in
evidenza, l’esistenza di un substrato culturale unico diffuso su tutta
l’area lombarda, nella zona compresa tra i fiumi Serio e Sesia, che
prese il nome di “Cultura di Golasecca”, da una delle principali
località, presso Varese, in cui furono rinvenuti i primi reperti
pertinenti a tale cultura. Secondo i risultati dell’indagine
archeologica, la Cultura di Golasecca si sviluppò durante la prima età
del Ferro nella provincia di Novara, in tutta la Lombardia occidentale e
in tutto il Canton Ticino, oltre che nella Val Mesolcina nel cantone dei
Grigioni, in territorio svizzero, comprendendo non una singola
popolazione, ma certo numero di popoli stanziati nell’area lombarda,
piemontese e ticinese i quali sembrano rappresentare in assoluto il più
antico ceppo celtico tuttora noto e documentato, risalente addirittura
al XIII secolo a.C. quando buona parte della Lombardia assistette allo
sviluppo della Cultura di Canegrate che introdusse fogge ceramiche e
manufatti metallici fortemente correlati con quelli tipici della Cultura
dei Campi di Urne sviluppatasi molto più a Nord, in Germania, nel
territorio del Reno, nella Francia orientale, e sull’altopiano svizzero,
cioè nelle regioni che sono ritenute dagli studiosi essere tipicamente
le sedi originarie dei Celti e della loro cultura.
Popolamento
padano-alpino nel 700 a.C
Popolamento della
regione padano-alpina nel 400 a.C
Popolamento
dell’area padano-alpina nel 100 a.C
Il rito funerario
Dal punto di vista del rito funerario la Cultura di Golasecca utilizzò
esclusivamente la cremazione, almeno fino al VI secolo a.C. Le ceneri
del defunto venivano raccolte in un’urna e deposte nella tomba assieme
al corredo funerario. Generalmente le tombe, quasi sempre singole, erano
semplici pozzetti, talvolta foderati da lastre di pietra inserite a
secco o da ciotoli. Questo fatto introduce alcune difficoltà
nell’analisi archeoastronomica in quanto le sepolture ad incinerazione
raramente permettono di rilevare la loro orientazione rispetto alle
direzioni astronomiche fondamentali. Nel caso di alcune necropoli, tra
le quali quella scoperta e scavata nel 1996, dalla Dott.sa Caporusso
della Sovrintendenza Archeologica della Lombardia, è stato possibile
rilevare che la l’urna cineraria risultava posta in posizione decentrata
ad oriente rispetto al centro del pozzetto in modo tale che un semplice
calcolo probabilistico è stato in grado di escludere completamente la
casualità della distribuzione osservata.
La società golasecchiana era tale da privilegiare la classe guerriera e
ovviamente anche quella sacerdotale, secondo una matrice tipicamente
celtica anche se non ci è noto quali fossero la natura e le prerogative
della classe sacerdotale presso i Golasecchiani. L’indagine archeologica
non ha fino ad ora restituito alcuna tomba contenente chiare ed univoche
indicazioni che il defunto fosse un druido o qualcosa di simile, per cui
anche se è naturale ammettere l’esistenza di talune persone preposte ad
amministrare il culto, non è sicuramente dimostrato che presso i
Golasecchiani sia effettivamente esistita una classe sacerdotale. La
situazione climatica a quel tempo era favorevole, ma nel periodo che
comprende il IX e il VIII secolo a.C. la situazione peggiorò decisamente
e gli abitati di pianura vennero gradualmente abbandonati a causa
dell’aumento della piovosità, con il conseguente avanzamento delle
paludi. Durante questo periodo, nell’area occidentale, comprendente la
zona di Sesto Calende, osserviamo l’adozione dell’urna cineraria di
forma bi-conica con decorazioni a “denti di lupo”, seppellita entro
tombe a circolo segnalate in superficie da cerchi di grosse pietre le
cui dimensioni variavano dai 3 ai 10 metri di diametro, le quali
rimasero in uso fino a tutto il VII secolo a.C. I luoghi funerari che
comprendono dei recinti tombali mostrano rilevanti orientazioni
astronomiche, soprattutto in quei siti dove i circoli di pietre sono più
di uno, quale i siti del Monsorino, quello della Brughiera della
Garzonera e altri.
Nella zona occidentale, corrispondente al Comasco e al Bergamasco,
invece le tombe sono caratterizzate dall’assenza dei circoli di pietre,
ma presentano un corredo maggiormente ricco. In particolare nel
bergamasco è stato rilevato anche l’utilizzo di urne cinerarie in bronzo
anziché in materiale ceramico. Il V secolo a.C. fu molto florido per la
Cultura di Golasecca e questo fatto si riflette molto bene nella
composizione dei corredi che sono stati rinvenuti nelle tombe facenti
parte delle necropoli risalenti a quell’epoca.
Gli abitati golasecchiani
Parallelamente anche gli abitati si espansero e l’espansione procedette
in maniera pianificata secondo canoni astronomici ben precisi i quali
sono suggeriti dalle direzioni topografiche di sviluppo degli abitati.
Le abitazioni, generalmente di forma rettangolare, vennero tutte
edificate allineate con l’asse maggiore posto lungo la direzione che va
dal punto di sorgere del Sole al solstizio d’estate all’orizzonte fisico
locale, fino al punto di tramonto dell’astro diurno al solstizio
invernale, direzione questa che, come vedremo, fu molto comune in ambito golasecchiano e che aveva presumibilmente la funzione di favorire
l’insolazione soprattutto del lato lungo delle abitazioni. Questo
accorgimento presupponeva la conoscenza, almeno approssimativa della
posizione dei punti di levata e tramonto dell’astro diurno, ottenuta
ovviamente mediante l’osservazione continuata nel tempo. Il IV secolo
a.C. fu teatro dell’invasione gallica dell’Italia settentrionale,
avvenuta nel 388 a.C. e il loro effetto sulla Cultura di Golasecca fu
disastroso, tanto da provocarne il rapido declino. La tradizione
golasecchiana rimase però viva nelle vallate alpine che vennero
relativamente risparmiate dall’invasione gallica. In questi luoghi
avvenne una progressiva fusione tra la cultura autoctona di matrice
golasecchiana con quella gallica portata dai Celti transalpini e
successivamente, nel II e nel I secolo a.C. con quella romana.
La misura del tempo
Attualmente non sappiamo se i Golasecchiani svilupparono o meno un
calendario basato sui cicli astronomici fondamentali, nel senso che
nessun reperto archeologico può essere connesso ad un dispositivo
calendariale quanto meno somigliante anche lontanamente al calendario
gallico, diffuso nei territori transalpini. Sappiamo che i Golasecchiani
furono anche e soprattutto agricoltori, infatti fra le prime
testimonianze archeologiche oggettive relativamente alla coltivazione di
piante domestiche nel territorio golasecchiano sono da annoverare quelle
che si riferiscono alle civiltà precedentemente insediate su palafitte
che si collocano grosso modo tra il 3000 ed il 2000 a.C.. In
particolare nella cultura della Lagozza (nella zona di Varese) sono
stati rinvenuti resti di vari tipi di frumento primitivo, che datati
mediante la tecnica del C14 calibrato sono stati collocati
cronologicamente al 2800 a.C. Il fatto che i Golasecchiani fossero
agricoltori implica in maniera molto naturale l’esistenza di una sorta
di calendario, che permettesse loro la pianificazione delle attività
agricole, basato almeno sui cicli astronomici più evidenti, quali quelli
del Sole e della Luna. In mancanza di un reperto oggettivo equivalente
a quello di Coligny per i Celti transalpini, non ci rimane che cercare
di analizzare le numerose orientazioni astronomicamente significative
che è stato possibile rilevare nei siti studiati cercando di scoprire
quali avrebbero potuto essere state le principali conoscenze
astronomiche diffuse nell’ambito della Cultura di Golasecca.
L’osservazione del cielo
La maggior parte dei siti golasecchiani possono essere classificati, a
grandi linee, in tre categorie. La prima comprende gli insediamenti
abitativi, cioè i villaggi con tutte le strutture ad essi connesse, la
seconda categoria comprende le strutture litiche isolate le quali
possono essere monumentali oppure semplicemente insiemi geometricamente
regolari di monoliti di medie dimensioni. La terza categoria raggruppa
le necropoli, le quali possono essere di vari tipi a seconda del luogo e
dell’epoca a cui ci si riferisce.
Nel periodo più antico, il Protogolasecca (XII-X sec. a.C.) e nella zona
ticinese è stata rilevata la consuetudine di deporre le urne cinerarie
all’interno di pozzetti posti al centro di tumuli, talvolta di notevoli
dimensioni, composti da terra e pietrame. In alcuni casi è stato
possibile mettere in evidenza che coppie e terne di tumuli erano
disposti sul terreno secondo direzioni astronomicamente significative,
come è rilevabile nel caso dei tumuli di Belcora e della Malpensa
recentemente scavati sotto la direzione della compianta dr.sa M.A.
Binaghi-Leva della Sovrintendenza Archeologica della Lombardia. Nel
periodo che comprende grosso modo il VII e il VI secolo a.C. e nella
zona corrispondente alla riva lombarda del Ticino si rileva la presenza
dei circoli tombali nella cui disposizione sembra che l’Astronomia abbia
giocato un ruolo rilevante. L’ultimo genere di necropoli è quella
formata dai semplici pozzetti contenenti l’urna cineraria ed
eventualmente alcuni elementi di corredo, le quali, salvo qualche
eccezione, non mostrano caratteristiche rilevabili che potrebbero essere
collegate a qualche oggetto astronomico.
Generalmente, dal punto di vista archeoastronomico, ciò che può essere
analizzato è costituito o dalla posizione delle urne rispetto al
centroide dei pozzetti che le contengono, come nel caso della necropoli
di via Tito Livio a Como, oppure la distribuzione delle tombe sul
terreno che talvolta mostrano di essere state disposte secondo talune
direttrici che risultano scorrelate con la morfologia del terreno, ma
risultano essere in ragionevole accordo con alcune direzioni
fondamentali connesse per lo più con i punti di levata e di tramonto del
Sole, della Luna o di qualche stella luminosa.
A questo punto è utile fornire qualche indicazione relativamente al tipo
di analisi eseguita. L’analisi archeoastronomica è stata condotta
secondo due criteri. Il primo, che definiremmo “locale”, ha previsto
l’esame di tutti gli allineamenti esistenti in ciascun sito senza porsi
alcun pregiudizio, durante la fase di scelta, sulla possibile
significatività astronomica, salvo selezionare a posteriori, mediante
appropriate tecniche di calcolo, quali di essi potrebbero essere
correlati con la posizione di qualche oggetto celeste all’epoca in cui
il sito fu in uso, accompagnati con la necessaria analisi
probabilistica. Il secondo criterio, che definiremmo “globale”, si
riferisce all’analisi di tutto il contesto, nel senso che la totalità
dei 216 allineamenti rilevati negli oltre 25 siti, sono stati sottoposti
ad un’analisi statistica mescolandoli tra di loro secondo un criterio
casuale in modo che fosse persa ogni traccia del sito individuale al
quale un dato allineamento si riferiva. L’analisi statistica richiede
prima di tutto il test della cosiddetta “ipotesi zero” (“null hypothesis”,
nei testi anglosassoni) che consiste nel verificare se è possibile
rigettare l’ipotesi zero, cioè la possibilità che gli allineamenti
rilevati siano completamente dovuti al caso. Tecnicamente si confronta
la funzione densità di probabilità pertinente ai dati sperimentali con
quella di una popolazione equivalente di dati casuali. Se le
distribuzioni sono significativamente differenti allora l’ipotesi zero
viene rigettata e l’indagine archeoastronomica può procedere, ma se le
due distribuzioni si equivalgono allora gli allineamenti sono da
ritenersi solamente fortuiti.
Un’interessante scoperta dovuta all’archeoastronomo inglese Clive
Ruggles prevede che se le direzioni rilevate nei siti sono reali, ma non
astronomicamente significative, la loro distribuzione di probabilità è
poco differente da quella risultante per l’ipotesi zero. L’analisi
statistica condotta secondo questi criteri ha permesso di riconoscere
come casuali ben 105 dei 216 allineamenti, mentre 111 sono risultati
astronomicamente significativi, di cui però altri 5, tutti pertinenti
alle stelle, sono risultati molto prossimi al limite di casualità. Ne
sono rimasti 106, così ripartiti: 17 solari, 12 lunari, 17 relativi alle
costellazioni o parti di esse (incluse le Pleiadi), 56 relativi alle
stelle e 4 direzioni allineate lungo il meridiano astronomico locale,
ciascuno con il loro grado di significatività statistica. Se l’analisi
“locale” ci fornisce informazioni sul singolo sito, l’analisi “globale”
ci fornisce invece notizie relativamente agli oggetti celesti che
probabilmente furono importanti per la Cultura di Golasecca in tutto il
suo insieme.
Questo trattamento è stato possibile in quanto l’area interessata è
geograficamente limitata e la matrice culturale è grosso modo identica
per tutte le popolazioni golasecchiane. L’analisi ha permesso di mettere
in evidenza che, dal punto di vista solare, solamente in un numero
limitato di siti sono stati rilevati allineamenti che potrebbero essere
correlati con i punti di levata o di tramonto del Sole nei giorni dei
solstizi, mentre un numero più ridotto di allineamenti potrebbero essere
correlati con il sorgere e al tramontare del Sole equinoziale. Questa
direzione però, come vedremo più oltre, potrebbe anche riferirsi, con
rilevante probabilità, ad alcune stelle la cui declinazione era prossima
a zero gradi, quindi poste in vicinanza dell’equatore celeste, invece
che all’astro diurno. Ad essere maggiormente marcati, sono i punti,
sull’orizzonte naturale locale, relativi al tramonto del Sole, più che i
punti di levata.
Esistono alcuni siti, tra i quali il complesso litico della Brughiera
della Garzonera a Vergiate, l’area settentrionale del complesso del
Monsorino a Golasecca e il Sass dla Preja Buja a Sesto Calende, nei
quali sono stati rilevati allineamenti solari che si riferiscono, nello
stesso sito, sia ai due solstizi sia agli equinozi, in altri casi è
stata rilevata la presenza solamente di una coppia di allineamenti e in
altri ancora solamente un solo allineamento solare significativo. In
una percentuale consistente dei siti presi in considerazione non è stato
rilevato alcun allineamento astronomicamente significativo connesso con
il Sole. I punti dell’orizzonte naturale locale in cui sorge e tramonta
il Sole equinoziale, erano difficilmente determinabili mediante
osservazioni ad occhio nudo e senza l’ausilio di cognizioni che
permettessero di tracciare, sul terreno, alcune semplici costruzioni
geometriche.
Il metodo per stabilire la direzione equinoziale, basato sull’idea di
determinare la direzione media tra quelle dei due solstizi poteva
fornire risultati attendibili solo in prima approssimazione in quanto
sarebbe stato necessario operare con altezze uguali dell’orizzonte
naturale rispetto a quello astronomico locale. Il paesaggio tipico dei
luoghi golasecchiani è generalmente ricco di colline e montagne, le
quali implicano un andamento ondulato ed irregolare dell’orizzonte
naturale locale rispetto a quello astronomico, rendendo quindi
impossibile valutare la direzione equinoziale bisecando l’arco di
orizzonte percorso dal punto di levata del Sole passando dal solstizio
estivo a quello invernale.
Ancora peggio per quanto riguarda la stima dell’epoca equinoziale,
infatti a causa dell’eccentricità dell’orbita terrestre, le date di
equinozio risultano consistentemente spostate rispetto a quelle
ottenibili con la media delle epoche di due solstizi consecutivi. I
punti di levata e di tramonto del Sole equinoziale si muovono sulla
linea dell’orizzonte a grande velocità nei giorni che precedono e
seguono gli equinozi, contrariamente a quanto avviene in occasione dei
solstizi in cui, come dice il nome, il Sole staziona praticamente quasi
fermo nei dintorni dei punti di disgressione estrema, per qualche
giorno. Questa lentezza faceva si che la determinazione sperimentale
della data di solstizio potesse essere ottenuta solamente con un margine
d’errore di tre o quattro giorni, mentre le posizioni dei punti di
levata e di tramonto solstiziali erano di relativamente facile
determinazione, almeno entro i limiti di precisione richiesta.
In più, contrariamente ai solstizi che corrispondono alle posizioni
estreme dell’astro sull’eclittica, il transito del Sole all’equatore
celeste era un fenomeno del tutto irrilevante dal punto di vista
dell’andamento stagionale locale e quindi, di riflesso, da quello della
pianificazione agricola. Nei siti in cui è marcata una sola direzione
solare significativa essa è immancabilmente solstiziale invernale,
chiaro esempio della preoccupazione che il solstizio d’inverno destò
sempre presso le popolazioni antiche, compresi i Golasecchiani. La
direzione della levata solstiziale invernale si rivela essere anche un
riferimento comune per l’orientazione degli abitati. Questi risultati
potrebbero suggerirci, con un rilevante grado di probabilità, che il
tramonto solstiziale invernale avrebbe potuto essere, per i
Golasecchiani, il riferimento solare principale e il tramonto
solstiziale estivo, quello secondario ai fini del calendario.
La conoscenza dei punti di levata o di tramonto solstiziali non era però
sufficiente a garantire un’efficiente programmazione dei lavori agricoli
essendo necessario disporre anche di un sistema di divisione dell’anno
tropico secondo intervalli più corti. Ecco che l’idea di utilizzare
anche la Luna e le sue periodicità più evidenti, quale il ciclo
sinodico, appare del tutto naturale. L’analisi degli allineamenti
lunari, ci mostra che almeno la metà dei siti studiati include
allineamenti tesi ad individuare i punti estremi di levata e di tramonto
dell’astro notturno, all’orizzonte naturale locale dei siti in oggetto,
durante il suo ciclo di 18.61 anni. La Luna sorge e tramonta in
corrispondenza dei punti estremi, nei giorni in cui è al “lunistizio”,
vale a dire qualora si trovi a valori estremi di declinazione, che sono
pari a (e+i) ed (e-i) essendo “e” l’obliquità dell’eclittica e “i”
l’inclinazione dell’orbita della Luna rispetto a quella della Terra.
Nei siti risalenti alle varie fasi della Cultura di Golasecca rileviamo
preponderantemente l’esistenza di allineamenti relativi alle posizioni
estreme, settentrionali e meridionali del punto di levata e di quello di
tramonto, cioè quelle posizioni che corrispondono alla massima e alla
minima declinazione raggiunta dalla Luna durante il suo corso, mentre
sono carenti gli allineamenti diretti verso i punti di levata dell’astro
ai punti di stazione intermedi. Questo fatto è logico ed è spiegabile
con la maggior facilità con cui era possibile rilevare sull’orizzonte,
una posizione estrema del punto di levata o di tramonto dell’astro,
rispetto ad una posizione intermedia. Quei punti, infatti, vengono
raggiunti una sola volta durante il ciclo di 18.61 anni, durante il
quale le due intersezioni tra l’orbita della Luna e quella della Terra,
compiono un giro completo nel senso opposto al moto dell’astro, mentre
invece la Luna sorge, e tramonta, ogni mese draconitico in
corrispondenza dei punti intermedi senza che sia obbligatoriamente
verificata la condizione di lunistizio. Nei punti estremi il moto
apparente del punto di levata si inverte, rendendo relativamente agevole
la determinazione della loro posizione, mentre questo non accade nel
caso dei punti intermedi che in genere sono di transito, salvo una
volta ogni 18.61 anni, quando la Luna si trova ad evere una declinazione
pari a (-e+i) oppure (e-i).
La preferenza per i punti di disgressione estrema è un chiaro sintomo
che i Golasecchiani eseguirono, con grande probabilità, sia nel
Varesotto che nel Comasco, osservazioni dirette dei punti di levata e di
tramonto della Luna al fine di determinare queste posizioni anche se la
vera ragione di questo lavoro rimane per ora del tutto incognita anche
se potrebbe essere ipotizzabile una connessione del semiperiodo
lunistiziale lunare con l’intervallo, approssimativamente decennale, con
cui i contadini eseguivano la rotazione delle colture; per 9 anni il
terreno era sfruttato e per i successivi 9 anni il bosco riprendeva
possesso dell’area compensando l’impoverimento del suolo.
Dopo il taglio del bosco, l’area poteva di nuovo essere messa a coltura
per circa un decennio e così via. La scansione temporale basata sugli
intervalli di 9 anni ciascuno poteva essere gestita in maniera molto
efficiente sulla base del ciclo lunistiziale lunare che faceva si che i
punti di levata e di tramonto della Luna passassero dalle massime alle
minime disgressioni e viceversa, ogni 9.3 anni solari tropici. Dal
punto di vista del calendario, però, la conoscenza delle date di
lunistizio è di poca utilità essendo la loro periodicità troppo lunga,
non resta quindi che avanzare l’ipotesi dell’importanza rituale.
Un caso emblematico riguarda la Fonte della Mojenca a Pianvalle, presso
Como, in cui la monumentalizzazione della sorgente, avvenuta nel V
secolo a.C., sembrerebbe essere stata strettamente connessa con la
posizione del punto estremo di tramonto della Luna alla sua massima
disgressione meridionale, all’orizzonte naturale locale che in quella
direzione e in quel luogo è praticamente coincidente con quello
astronomico. La probabilità che l’orientazione sia un fatto casuale è
inferiore allo 0.3% valore questo che implica che l’orientazione
rilevata per l’asse della galleria della fonte fu deliberatamente
definita con un livello di probabilità pari al 99.7%. È noto che in
epoca antica le fonti rivestirono un ruolo sacro e potrebbe essere
probabile che la connessione con la Luna ed in particolare con il suo
punto di tramonto ogni 18.61 anni possa essere connesso alla sacralità
del luogo; infatti la connessione tra la Luna e l’acqua è un fatto
documentato presso i Celti. A Pianvalle, nel sito che è correntemente
ritenuto essere un luogo sacro, rileviamo la presenza di buche destinate
ad alloggiare dei pali che avrebbero potuto essere utilizzati quali
segnacoli per indicare tutte le quattro direzioni lunistiziali lunari,
addirittura il punto corrispondente alla minima declinazione della Luna
è marcato sia al sorgere che al tramontare dell’astro. Questa abbondanza
di direzioni lunari significative è per ora rilevabile solamente a
Pianvalle e in nessun altro sito golasecchiano e potrebbe essere
ragionevolmente messa in relazione con l’utilizzo sacro del luogo.
Parimenti importante è la coppia di direzioni lunistiziali presenti nel
sito del Sass dla Preja Buja in cui entrambi i punti di stazione estremi
sono marcati in corrispondenza del tramonto della Luna. Anche se il
Sass è molto più antico rispetto alla Cultura di Golasecca esistono
ragioni per ritenerlo un luogo sacro utilizzato dai Golasecchiani. In
questo caso appare evidente la volontà di osservare i tramonti della
Luna i quali avvenivano, in quel luogo, per tutto il ciclo di 18.61
anni, entro il settore di orizzonte naturale locale delimitato dai due
punti di massima disgressione. Il tramonto del nostro satellite naturale
era quindi sempre visibile da parte di un osservatore posto presso il
grosso monolito il quale potrebbe essere stato un antico osservatorio
lunare. In tutti gli altri siti studiati, le direzioni lunari risultano
trascurate e addirittura, in svariati siti, non si rileva alcun
allineamento connesso con l’astro della notte. Anche nel caso della
Luna, analogamente a quanto osservato per il Sole, si rileva che nei
siti golasecchiani sono di preferenza marcati i punti di tramonto più
che quelli di levata. Questa, che sembra essere una peculiarità del
mondo golasecchiano, potrebbe implicare l’esistenza di una possibile
attività di osservazione del cielo che potrebbe essersi concretizzata
nel seguire il moto apparente degli astri sulla sfera celeste un certo
tempo prima del loro tramonto e osservandoli fino alla loro scomparsa
sotto il profilo dell’orizzonte naturale locale, siamo però ovviamente
nel campo delle ipotesi. La carenza di allineamenti relativi alla
levata degli astri più luminosi del firmamento potrebbe essere spiegata
con la necessità di dover prevedere in anticipo dove l’oggetto celeste
avrebbe dovuto sorgere. La previsione, in anticipo, della posizione di
levata di un astro richiedeva un uno sforzo di astrazione che
rappresenta un passo successivo relativamente notevole rispetto alla
pura e semplice attività di osservazione che peraltro ne rappresenta la
base. Una possibile ipotesi alternativa potrebbe essere avanzata per
spiegare questa peculiarità rilevata sperimentalmente nei siti posti
presso Como, i quali essendo ubicati sul versante occidentale della
alture che compongono la Spina Verde, si trovavano ad avere generalmente
l’orizzonte orientale precluso, alla vista, dai rilievi, mentre
l’orizzonte occidentale era pressoché libero talvolta fino al livello
della linea dell’orizzonte astronomico locale, e in qualche caso, nei
luoghi di maggior elevazione, anche un poco sotto per effetto della
depressione dell’orizzonte in seguito alla quota dell’osservatore.
Questa spiegazione non può essere invocata, però, nel caso dei siti
posti sulle colline del Varesotto nelle quali l’orizzonte orientale non
è precluso, salvo casi particolari, se non per un’altezza di 1 o 2
gradi, allo stesso modo di quello occidentale.
Per quanto riguarda le stelle invece la situazione è molto diversa.
Come accade nel caso dei nemeton costruiti dai Celti d’oltralpe, anche
presso i Golasecchiani, gli allineamenti connessi con i punti di prima
visibilità delle stelle più luminose sembrano essere preferiti sia a
quelli connessi con il Sole sia a quelli connessi con la Luna, per
orientare i luoghi sacri. In particolare è stato possibile rilevare
l’esistenza di allineamenti verso i punti di prima visibilità di alcune
stelle luminose alla data della loro levata eliaca. Le stelle in oggetto
sono risultate essere: Antares, Rigel, Sirio, Regolo,Aldebaran,
Procione, Hamal, Spica, Betelgeuse, Vega, Deneb, le Pleiadi, Arcturus,
Altair e Markab. Durante la fase centrale di sviluppo della Cultura di
Golasecca, Antares levava eliacalmente a metà del mese di Novembre,
mentre Rigel appariva per la prima volta nelle luci dell’alba durante la
prima decade di Luglio. La levata eliaca di Sirio avveniva nella
seconda decade di Luglio, mentre Regolo diveniva visibile intorno ai
primi giorni di Agosto. Aldebaran levava eliacalmente intorno
all’inizio di Giugno, mentre Procione, nel Cane Minore, andava in levata
eliaca a metà Luglio, poco dopo Rigel, ma poco prima di Sirio. La stella
Hamal poteva essere osservata per la prima volta durante l’anno, intorno
alla metà di Aprile, mentre Spica era in levata eliaca quasi alla fine
di Settembre, in prossimità dell’equinozio di autunno, di cui
rappresentava un buon indicatore stellare.
Betelgeuse era in levata eliaca negli ultimi giorni di Giugno, tutto
sommato non molto distante dal solstizio estivo, mentre Vega levava
eliacalmente verso la fine di Ottobre. La stella Deneb era visibile per
la prima volta nella seconda decade di Novembre, mentre le Pleiadi erano
in levata eliaca nei primi giorni di Giugno. La stella Arcturus era
visibile, per la prima volta durante l’anno, durante la prima decade di
Settembre, mentre Altair, andava in levata eliaca nella prima decade del
mese di Dicembre. La stella Markab era in levata eliaca intorno nella
prima decade di Febbraio, mentre Capella, levava eliacalmente verso la
fine di Marzo costituendo un buon indicatore equinoziale al pari di
Spica, ma in questo caso di tipo primaverile. La levata eliaca di questa
stella, però, pur essendo stata molto importante per quanto riguarda
l’Astronomia dei Celti d’oltralpe non sembra essere stata tenuta molto
in considerazione dai Golasecchiani eccettuata forse la direzione della
strada principale di un insediamento risalente al V secolo a.C. e posto
presso la necropoli di Via Tito Livio a Como, che risulta orientata
verso il punto di prima visibilità di Capella nel giorno della levata
eliaca; ciononostante sono stati rilevati alcuni allineamenti diretti
verso il punto di levata ordinario della stella.
L’osservazione della sequenza delle levate eliache visibili in un
determinato luogo, avrebbe potuto permettere agevolmente la
delimitazione di una serie di date ben precise durante l’anno.
Praticamente tutti gli antichi popoli, di cui disponiamo di
documentazione scritta relativamente ai loro usi e costumi, utilizzarono
questo metodo per definire con ragionevole accuratezza le date
fondamentali utili alla pianificazione agricola e per la navigazione,
basti ricordare il greco Esiodo e la sua opera “Le Opere e i Giorni”.
Spesso concomitantemente all’epoca della levata eliaca di una
determinata stella veniva celebrata una festa la quale era generalmente
connessa, dal punto di vista rituale, sia all’evento astronomico che ne
determinava la ricorrenza, sia all’evento sociale che doveva essere
celebrato. In ambito celtico transalpino conosciamo che le quattro
feste principali erano connesse con la levata eliaca di quattro stelle
luminose, Antares, Aldebaran, Capella, e Sirio, la prima delle quali
stabiliva anche l’epoca di inizio dell’anno agricolo e rituale, oltre
che della stagione invernale e la seconda sanciva l’inizio della
stagione estiva.
Le stelle di cui rileviamo l’esistenza di allineamenti verso il punto di
prima visibilità alla data della levata eliaca, nei siti golasecchiani
analizzati durante questa ricerca, avrebbero potuto permettere di
scandire l’anno in maniera abbastanza fitta e regolare. Tenendo conto
della marcata matrice celtica ormai riconosciuta alla cultura di
Golasecca, possiamo partire dalla levata eliaca di Antares che avveniva
grosso modo a metà Novembre e che avrebbe ragionevolmente potuto
stabilire l’inizio dell’annata sia agricola che rituale e anche della
stagione invernale.
La stella la cui levata eliaca risulta osservata subito dopo, è quella
di Deneb che avveniva 9 giorni dopo e successivamente, nella prima
decade di dicembre, la levata eliaca di Altair. A questo punto rileviamo
che la levata eliaca successiva che sembra essere stata di qualche
interesse in ambito golasecchiano è quella della stella Markab la quale
avveniva intorno alla prima decade del mese di Febbraio. Per un periodo
di circa 2 mesi, dalla levata eliaca di Altair a quella di Markab, non
si registrano, presso i Golasecchiani, siti con allineamenti diretti
verso il punto di prima visibilità di qualche stella. Questo fatto
potrebbe essere spiegato in quanto in questo lasso di tempo avveniva il
solstizio d’inverno che costituiva una data importantissima dal punto di
vista della scansione dell’anno e come tale è stato l’obbiettivo di
numerosi allineamenti nei siti golasecchiani. Il sorgere eliaco di
Markab era seguito dopo circa un mese e mezzo dalla levata eliaca di
Capella, che si piazzava vicino all’equinozio di primavera. In
concomitanza con il periodo compreso tra le date delle due levate
eliache i Golasecchiani avrebbero potuto procedere alla semina
primaverile dei frumenti primitivi, quali il monococco e il dicocco.
Intorno alla metà di Aprile capitava la levata eliaca di Hamal, mentre
all’inizio di Giugno cadeva quella delle Pleiadi che preludeva al
termine della stagione invernale e all’incipente inizio di quella estiva
che aveva convenzionalmente luogo con la levata eliaca di Aldebaran
pochi giorni dopo. Questo poteva essere il periodo adatto alla raccolta
dell’orzo. Verso la fine di Giugno, in prossimità del solstizio estivo,
rileviamo la levata eliaca di Betelgeuse, subito seguita circa 9 giorni
dopo da quella di Rigel. Tra la levata eliaca di Betelgeuse e quella di
Rigel era posto il periodo adatto alla mietitura e alla raccolta dei
frumenti, sia che essi fossero stati seminati in primavera sia che la
semina fosse avvenuta nell’autunno dell’anno precedente. Circa 10 giorni
dopo sorgeva eliacalmente Procione e, dopo appena 6 giorni, Sirio. Siamo
ora giunti ai primi giorni di Agosto in cui si verificava la levata
eliaca di Regolo, seguita nella prima decade di Settembre da quella di
Arcturus e due settimane dopo da quella di Spica, che avveniva in
concomitanza con l’equinozio d’autunno. Tra la levata eliaca di Arcturus
e quella di Spica potevano essere seminati i frumenti (monococco e
dicocco) in semina autunnale. Un mese dopo, verso la fine di Ottobre,
rileviamo l’ultima levata eliaca presente lungo l’anno golasecchiano,
cioè quella di Vega, che preludeva al termine dell’anno, ma che poteva
essere ragionevolmente connessa con l’attività di mietitura e raccolta
del grano seminato all’epoca della levate eliache di Markab e di
Capella. Si attendeva quindi la successiva levata eliaca di Antares per
far iniziare il nuovo anno e l’inizio della stagione invernale, la
quale, se il raccolto era stato abbondante poteva essere affrontata con
i granai pieni.
Gli allineamenti presenti nei siti analizzati ne comprendono anche
taluni di tipo meridiano o polare, cioè paralleli alla linea meridiana
locale o in altre parole diretti verso il punto cardinale Nord
astronomico e dalla parte opposta, verso il punto della sfera celeste in
corrispondenza del quale gli astri giungono alla massima altezza
apparente sull’orizzonte astronomico locale. L’orientazione polare,
anche se sembrerebbe di primo acchito dettata da un ragionamento
semplice e naturale, in realtà non è per niente banale in quanto è
abbastanza difficile da ottenere praticamente. Nonostante questo sono
state sperimentalmente rilevate, nei siti Golasecchiani, alcune
strutture che presentano un’orientazione di questo tipo, ottenuta anche
con accuratezza considerevole.
Questo avviene ad esempio nel caso del recinto tombale del Vigano nel
quale il corridoio annesso al cerchio litico era allineato lungo il
meridiano con un errore complessivo minore di 1°,5. Un altro esempio
sono i due circoli tombali, unici in mezzo a decine di tombe, posti
nella necropoli del Presualdo a Sesto Calende i quali sono allineati, a
21 metri di distanza tra loro, lungo la direzione del meridiano
astronomico locale, a meno di un ridottissimo errore. Nel sito
settentrionale della necropoli del Monsorino, i centri di due dei
quattro recinti sono allineati lungo la direzione meridiana con un
errore inferiore ai 2°,5. La direzione meridiana non era
sperimentalmente ottenibile con la pura e semplice osservazione del
cielo in quanto nessun oggetto celeste sorge o tramonta esattamente a
sud fatta eccezione, in teoria, per una stella la cui declinazione è
esattamente pari alla co-latitudine del luogo, ma anche così gli effetti
dovuti alla rifrazione e all’estinzione atmosferica avrebbero reso
talmente aleatoria la visibilità dell’astro all’orizzonte astronomico
locale, da precludere completamente qualsiasi tentativo di determinare
la direzione della linea meridiana in questo modo.
In alternativa sarebbe stato possibile osservare la posizione del Polo
Nord Celeste che durante l’età del Ferro era posto presso la stella
Kochab (Beta Ursae Minoris). La posizione del polo nord celeste non era
talmente vicina a Kochab da poter essere considerata, dal punto di vista
pratico, coincidente con essa. Ne distava alcuni gradi, quindi la
stessa Kochab descriveva un arco ampio alcuni gradi intorno ad un punto
del cielo apparentemente privo di stelle. La determinazione della linea
meridiana con il fine di orientare lungo essa alcune strutture, doveva
quindi essere eseguita utilizzando qualche metodo geometrico.
Qualche tecnica di natura geometrica poteva essere comunque nota in
ambito golasecchiano, se non altro ne abbiamo testimonianza nella
disposizione dei recinti tombali nel sito meridionale del Monsorino a
Golasecca in cui l’uso del triangolo pitagorico sembra documentato in
maniera ragionevolmente sicura. I siti in cui è possibile rilevare
l’esistenza di orientazioni meridiane sono abbastanza numerosi, tra di
essi possiamo rilevare il recinto tombale del Vigano, la congiungente i
centri dei due circoli litici presenti al Presualdo, l’asse del
corridoio annesso ad uno dei recinti litici del Monsorino, la
congiungente i centri di alcune coppie di circoli tombali presenti nello
stello sito e altri.
Presso Como rileviamo un’orientazione meridiana in uno dei lati della
struttura litica di Prestino, in prossimità del luogo dove fu rinvenuta
la barra di arenaria con la famosa iscrizione redatta in alfabeto
leponzio. Ancora nei sobborghi di Como rileviamo la presenza di una
struttura litica monumentale il cui asse risulta orientato
parallelamente al meridiano astronomico locale. Allo stadio attuale
delle conoscenze non ci è dato di sapere quale fosse il significato
pratico o rituale delle direzioni parallele all’asse di rotazione della
Terra, per i Golasecchiani, e neanche secondo quali tecniche esse furono
tracciate, ma è un fatto sperimentale che esse si rilevino direttamente
sul terreno eseguendo accurate misure sia sui siti ancora esistenti sia
su quelli di cui esiste un’accurata mappatura a livello archeologico
eseguite dal personale specializzato delle Sovrintendenze Archeologiche
della Lombardia e del Piemonte. Allo stesso modo rileviamo una
rilevante frequenza degli allineamenti posti parallelamente alla
direzione equinoziale. Tra i siti analizzati rileviamo la presenza di
allineamenti posti lungo la direzione est-ovest astronomica nel
complesso litico del Vigano, in quello del Monsorino, in quello della
Garzonera a Vergiate, quello delle Cornelliane a Sesto Calende e, presso
Como, il lato della struttura litica monumentale di via Mantegna a Como.
La determinazione della direzione equinoziale avrebbe potuto richiedere
la determinazione dei punti di levata del Sole ad almeno uno dei due
equinozi, ma tale determinazione era, con le risorse a disposizione
durante il I millennio a.C., notevolmente complessa e difficile da
attuare praticamente. Nel momento dell’equinozio, il centro del Sole si
trova posizionato sull’equatore celeste e la durata del giorno è uguale
a quella della notte. In quei giorni la declinazione dell’astro diurno
è vicina a zero, ma la sua variazione nel tempo è la massima possibile,
quindi durante una giornata essa varia di ben 24’ che corrisponde grosso
modo a ¾ del diametro del disco solare. In quei giorni i punti di levata
e di tramonto all’orizzonte astronomico locale cambiano, di giorno in
giorno, molto rapidamente rendendo quindi difficile stabilire quale
fosse il giorno in cui gli equinozi avevano luogo e di riflesso quale
fosse la corretta posizione dei punti di levata e di tramonto
equinoziali. A disposizione dei Golasecchiani esistevano grosso modo due
metodi, basati sull’osservazione, utili per determinare la data di
equinozio, senza ricorrere a costruzioni geometriche sul terreno,
giustificabili però ammettendo l’esistenza della reale necessità di
conoscere le date di equinozio, cosa che, dai dati in nostro possesso
non sembra esistere. Il primo era cercare di determinare il giorno in
cui il punto di levata e quello di tramonto erano diametralmente opposti
rispetto all’osservatore, ma questo era reso difficile dal fatto che il
metodo funzionava solamente potendo eseguire osservazioni a livello
dell’orizzonte astronomico locale, mentre le ondulazioni dei rilievi che
costituivano l’orizzonte naturale locale potevano compromettere
completamente i risultati ottenibili da questo tipo di osservazione. L’altro metodo poteva essere quello di rilevare gli unici due giorni,
durante l’anno, in cui l’estremità dell’ombra di uno gnomone verticale,
oppure il pennello di luce che viene proiettato in un ambiente buio, su
un piano orizzontale, da un foro illuminato dal Sole, procedono in linea
retta da ovest verso est. L’analisi dei dati a nostra disposizione ha
suggerito che con grande probabilità le direzioni equinoziali rilevate
nei siti golasecchiani non si riferivano al Sole bensì alle stelle, nel
senso che talune stelle la cui posizione i cielo era, durante il I
millennio a.C., molto prossima all’equatore celeste, sorgevano e
tramontavano all’orizzonte naturale locale, molto vicine ai punti di
levata e di tramonto del Sole agli equinozi. Tali stelle, alla
latitudine dei luoghi golasecchiani e nel periodo in cui la cultura in
oggetto ebbe il massimo sviluppo, sono Spica, Betelgeuse, Bellatrix,
Markab e alcune altre di cui però non si trova traccia di alcun
allineamento nei siti golasecchiani. Queste stelle erano importanti per
altre ragioni, ma la loro posizione equatoriale durante quel periodo le
faceva sorgere e tramontare in prossimità della direzione est-ovest
astronomica. I veri bersagli degli allineamenti equinoziali avrebbero
allora potuto essere state queste stelle le quali potevano rappresentare
dei riferimenti più validi dal punto di vista agricolo rispetto alla
levata o al tramonto del Sole equinoziale. Da tutto questo lavoro
emergono alla fine alcuni fatti importanti che vale la pena di mettere
in evidenza. Il primo si riferisce al fatto che i “targets” astronomici
esistono e sono stati messi in evidenza con un rilevante grado di
significatività statistica. Il secondo fatto è che gli astri che sono
risultati essere oggetto degli allineamenti rilevati nei vari siti
analizzati sono grosso modo sempre gli stessi, sia che si stia operando
nel Varesotto, sia che si stia analizzando un sito comasco o bergamasco.
Questo è molto importante in quanto nonostante l’esistenza di qualche
differenziazione di abitudini, stile di vita e usanze funerarie tra le
varie comunità, sembrerebbe essere esistita una certa uniformità
relativamente agli astri che furono probabilmente ritenuti importanti e
quindi degni della realizzazione di alcuni allineamenti stabiliti nei
luoghi sacri. Il terzo fatto è che gli astri ritenuti importanti sono
sempre gli stessi lungo i 600-700 anni durante i quali la Cultura di
Golasecca ebbe il suo sviluppo.
È noto che la posizione degli astri nel cielo varia con l’andare del
tempo a causa del fenomeno della precessione degli equinozi e del lento
cambiamento dell’obliquità dell’eclittica. Analizzando gli allineamenti
rilevabili nei siti osserviamo che taluni di essi, che ebbero il loro
sviluppo in epoche diverse differenziate di alcuni secoli, includono
alcuni allineamenti correlati con i punti di levata o di tramonto di
alcuni astri che rimangono sempre gli stessi anche dopo qualche secolo.
Questo fatto è molto evidente considerando le stelle ed è molto
importante in quanto con l’andare del tempo la longitudine eclittica di
una data stella cambia, per effetto della precessione degli equinozi, al
ritmo di 1 grado in poco più di 72 anni, in direzione opposta a quella
del moto apparente del Sole, e quindi cambierà corrispondentemente anche
la declinazione della stella e infine anche il punto dell’orizzonte
astronomico locale in cui essa era vista sorgere oppure tramontare da un
determinato luogo.
L’analisi ha rivelato che siti golasecchiani diversi, collocabili
cronologicamente ad epoche differenti, contengono allineamenti correlati
con le stesse stelle anche se la posizione dei loro punti di levata o di
tramonto all’orizzonte sono, nel frattempo, variati di qualche grado.
Nei siti, gli allineamenti appaiono quindi ruotati concordemente con il
cambiamento di posizione della stella. La probabilità che questo
fenomeno potesse avere origini casuali è bassissima, praticamente nulla,
quindi siamo indotti a ritenere che queste stelle rappresentassero
proprio gli obbiettivi dei vari allineamenti diretti verso i loro punti
notevoli all’orizzonte naturale locale. Per quanto riguarda il Sole e
la Luna, le loro posizioni di sorgere e di tramontare sono esenti dal
fenomeno della precessione degli equinozi, ma risentono in maniera
determinante del cambiamento di obliquità dell’eclittica, cioè della
variazione, nel tempo, dell’inclinazione dell’asse terrestre. Questo
fenomeno è però molto lento, un’oscillazione periodica di qualche grado
in 41000 anni, di conseguenza i punti di levata e di tramonto del Sole e
della Luna cambiano poco in un millennio, quindi gli allineamenti solari
e lunari rilevati nei siti golasecchiani rimasero, contrariamente a
quelli stellari, praticamente gli stessi lungo tutto il periodo di tempo
coperto dallo sviluppo della Cultura di Golasecca.
Ultimo, ma non ultimo, l’analisi globale ha messo in evidenza una
marcata somiglianza tra la funzione densità di probabilità ricavata
dall’analisi statistica delle direzioni rilevate nei siti golasecchiani
e quella, a suo tempo ricavata, dall’analisi di numerosi nemeton celtici
d’oltralpe, soprattutto francesi. Questa caratteristica appare molto
evidente anche confrontando la casistica degli astri che sembrerebbero
essere stati importanti per i due insiemi di popolazioni. È stato
rilevato anche che il numero delle stelle preferite dai Golasecchiani è
decisamente più elevato di quello che è stato rilevato nel caso dei
Celti transalpini.
Bibliografia:
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