GLI OROBI IN VALBREMBANA IL DUNUM
DI CLANEZZO
E IL SITO SACRO DEI PRATINUOVI PRESSO ZOGNO
Prof. Adriano Gaspani
La
Valbrembana è una delle due valli che si congiungono in prossimità della
città di Bergamo e si stende verso nord per circa 60 chilometri, lungo
il corso del fiume Brembo da cui deriva il nome, diramandosi in svariate
valli laterali sia in direzione nord-est che nord-ovest. L’altra valle
è la Valseriana, così denominata dal fiume Serio che vi scorre, in cui
gli archeologi sono stati in grado di rilevare abbondantissime tracce
del popolamento celtico, della stirpe degli Orobi, durante l’età del
Ferro. Contrariamente alla Valseriana, la storia antica della
Valbrembana è poco nota e per alcuni versi ciò che è noto solleva ancora
molti interrogativi e perplessità. Tracce di popolamento preistorico
sono state rilevate nella parte inferiore della valle, mentre nella
parte oltre la strettoia rappresentata dalla zone dei cosiddetti “Ponti
di Sedrina” a circa 15 Km da Bergamo non ci sono evidenze chiare ed
inequivocabili di quali possa essere stato il popolamento sia in età
preistorica che protostorica. Esistono diverse ipotesi che attribuiscono
il popolamento a genti di ceppo celtico, ma anche retico. Un fatto
archeologicamente fondato riguarda un piccolo insediamento bifamiliare
gallico portato alla luce alcuni anni orsono a Piazza Brembana in
località Castello. Alcuni siti in cui si rilevano strutture megalitiche
archeologicamente rilevanti e di cui è stata riconosciuta da A. Gaspani
la significatività astronomica sono ancora di complessa e difficile
interpretazione. Prima di tutto però dobbiamo prendere in esame il
cosiddetto Duno di Clanezzo.
Le prime tracce della presenza dell'uomo in epoca
protostorica sul territorio di Almenno San Salvatore, alla confluenza
tra la Valbrembana e la Valle Imagna, ad una decina di chilometri ad
ovest di Bergamo sono con ogni probabilità i reperti archeologici
rinvenuti sulla collina di Duno, nel comune di Clanezzo, situata nel
punto in cui il fiume Imagna confluisce nel Brembo.
Ubicazione del
Duno di Clanezzo
Su questo colle sono stati ritrovati i resti di numerosi
manufatti ceramici di impasto, che sembrano inequivocabilmente opera di
un popolo di matrice celtica ivi stanziato ben prima della conquista
romana. I reperti archeologici provenienti dal sito testimoniano
dell'esistenza di un insediamento protostorico, presumibilmente della I
età del Ferro, il quale si estendeva sulla sommità della collina che
appare artificialmente spianata e delimitata da un terrapieno e da una
cinta muraria formata da grosse pietre probabilmente recuperate dal
letto del sottostante fiume Brembo. La struttura che appare ad un
sopralluogo è quella tipica di un oppidum gallico posto a controllo
della via pedemontana tra Bergamo e Lecco, allo sbocco delle vallate
dell'Imagna e del Brembo. La struttura muraria che fortificava il sito e
composta un muro lungo circa 900 mt. e largo da 60 cm. a 1 metro,
formato da borlanti generalmente disposti a lisca di pesce e cementati,
il quale recinge tutta la sommità della collina, che appare livellata e
disposta a terrazzi ed appare molto chiaramente che Duno sia stata una
fortificazione, costruita dalla popolazione locale per proteggere il
proprio territorio.
Resti del muro
di fortificazione che delimitava alcuni settori dell’oppidum di del Duno
di Clanezzo.
A conferma di tale interpretazione esiste un elemento
toponomastico assai importante, cioè il nome stesso della collina: Duno,
come Via Duno è denominata la tortuosa strada che conduce alla sua
sommità. Il vocabolo Dunum infatti è proprio delle lingue celtiche con
il significato di "fortezza" e come è noto è entrato a costituire il
nome di diverse città e paesi nei luoghi anticamente popolati da genti
celtiche: si tratta quindi di un sito fortificato d'altura, un
castelliere, qualcosa di analogo al Caslè della Val Intelvi posto tra il
lago di Como e quello di Lugano. Viene però spontaneo chiedersi quale
popolazione celtica risiedesse in quella zona ed abbia edificato questo
imponente oppidum, in età preromana. Appare estremamente probabile che
il ceppo etnico sia celtico, di cultura Golasecchiana, della stirpe
degli Orobi, a cui dobbiamo anche la costruzione dell'Oppidum Komum e
del castelliere del Caslè in Val d'Intelvi, in territorio comasco.
I resti del terrapieno che delimitava parte del Duno di
Clanezzo
La struttura del sito è circa trapezoidale e l’area
centrale ottenuta spianando artificialmente la colina, è delimitata sui
lati nord ed est da un imponente muro di fortificazione in pietra,
mentre sui lati ovest e sud la difesa è stata affidata ad un solido
terrapieno sfruttando il ripido pendio della collina su questi due lati.
L’ingresso all’oppidum era stato ricavato nello spigolo sud-est, dove
termina la via d’accesso che sale dalla valle sottostante.
Nell'autunno del 2004 ho eseguito la georeferenziazione
del sito mediante tecniche satellitari GPS e rilievi topografici
necessari per eseguire lo studio archeoastronomico del sito. La sua
posizione geografica è: λ=9°,60000 E e φ=45°,7579 N, riferite all’elissoide
geocentrico WGS84, e la sua quota altimetrica è pari a 340 mt. Con i
rilievi eseguiti è stato possibile eseguire l’analisi archeoastronomica
del sito alla ricerca di linee astronomicamente significative.
Il rilevo del profilo del Dunum di Clanezzo eseguito
nell’Ottobre 2004
L’area
compresa entro l’oppidum è proprietà privata e gli scavi non sono
consentiti, ma i rilievi topografici ed archeoastronomici mi sono stati
consentiti dal proprietario in quanto non sono indagini invasive. La
mancanza di scavi archeologici non ha permesso l’identificazione di
strutture interne astronomicamente orientate o meno su cui si possa
discutere, ma quello che è apparso molto chiaramente è stato che il sito
è ubicato in una posizione estremamente favorevole dal punto di vista
delle osservazioni astronomiche condotte a fini calendariali. Le moderne
tendenze nel campo delle ricerche archeoastronomiche mostrano in maniera
sempre più frequente, non è importante solamente la presenza di alcune
linee astronomicamente significative esplicitamente materializzate nel
sito mediante opportune disposizioni di monoliti e/o buche di palo, ma
anche la sua posizione topografica rispetto ai particolari orografici
che costituiscono il profilo dell’orizzonte naturale locale, soprattutto
in direzione est ed ovest, compresi entro l’arco ortivo ed occaso
annuali del Sole ed eventualmente entro gli archi lunistiziali lunari.
La branca dell’Archeoastronomia che si occupa di questo aspetto è
denominata “Landscape Archaeoastronomy”, letteralmente: Archeoastronomia
del Paesaggio. E’ noto che in epoca antica l’osservazione astronomica
avveniva ponendo l’osservatore in un determinato luogo, tendenzialmente
in un sito a cui era attribuita una notevole valenza sacrale, e da quel
luogo venivano eseguite le osservazioni della levata e del tramonto
degli astri importanti nell’ambito di determinata quella cultura.
Tecnicamente tale luogo è il “punto di stazione”.
Da esso
venivano compiute le osservazioni astronomiche mediante due tipi di
traguardi: il primo consisteva nell’utilizzare come “punti di
collimazione” alcuni particolari orografici che facevano parte del
paesaggio di sfondo visibile da quel luogo, cioè l’orizzonte naturale
locale, in modo tale che la levata oppure il tramonto di determinati
astri, ad esempio il Sole, potesse essere osservata in corrispondenza
della cima di talune colline oppure entro le selle formate dalla loro
sovrapposizione sul paesaggio di sfondo. Il secondo modo era invece
quello classico di disporre opportunamente dei punti di collimazione
artificiali quali monoliti oppure pali in legno in modo da
materializzare gli allineamenti astronomici importanti direttamente nel
sito. Nel caso del Duno di Clanezzo, mancano completamente le notizie in
relazione al secondo metodo, ma abbiamo risultati molto significativi in
relazione al primo. Se consideriamo un osservatore posto grosso modo nel
centro geometrico del dunum, dove è stato posto il punto di stazione GPS
durante i rilievi, è possibile mettere in evidenza che egli poteva
osservare la levata del Sole al solstizio d’inverno lungo la bassa Valle
Brembana, mentre al solstizio d’estate l’astro diurno era visto sorgere
dietro il profilo del monte Passata (802 mt. s.l.m.) e tramontare lungo
il corridoio naturale formato della Valle Imagna.
Linee stellari
visibili dal Dunum di Clanezzo
Il tramonto del Sole al solstizio d’inverno era
osservabile in direzione sud-ovest dietro il profilo delle alture che
comprendono il Monte Canto. Un altro allineamento interessante riguarda
la levata della costellazione di Orione la quale era vista sorgere verso
le alture di Bruntino Alto, dietro il Monte dei Giubilini (602 mt. di
quota). Continuando ad esaminare le direzioni stellari significative si
rileva che sempre dallo stesso punto di osservazione era possibile
osservare la levata della stella Regulus nella costellazione del Leone
dietro il profilo del Corno dell’Uomo (976 mt. s.l.m.).
La sommità del
Duno di Clanezzo artificialmente spianata dove era posto l’abitato
celtico in epoca protostorica.
Le stelle di prima grandezza Aldebaran, nella
costellazione del Toro, Betelgeuse in Orione e Procione nel Cane Minore
erano viste levare ad epoche diverse dietro il profilo del monte Canto
Alto (1146 mt. s.l.m.) nella direzione della Val di Giongo, uno dei
monti dominanti la bassa Valle Brembana. Le stelle Rigel in Orione,
Sirio, nel Cane Maggiore ed Antares nello Scorpione erano viste levare
dietro il frastagliato profilo della collina della Maresana, un’altura
sovrastante l’abitato di Ponteranica Alta. A sud in direzione della
pianura era vista sorgere la stella Fomalhaut nel Pesce Australe dietro
la collina dove attualmente è posto il santuario della Madonna di
Sombreno. La stella Arcturus nel Boote era vista sorgere a nord-est
lungo la direzione che risale la Valbrembana dietro le alture
sovrastanti il paese di Zogno. Un discorso a parte meritano le stelle
Vega nella Lyra e Capella nell’Auriga le quali erano viste levare dietro
le alture dove è attualmente è posta la località di Prati Nuovi presso
l’oratorio di San Gaetano proprio in coincidenza del luogo dove è posto
un enigmatico sito megalitico che a questo punto si ritiene possa essere
stato un importante luogo sacro connesso con il Duno di Clanezzo e le
popolazioni celtiche locali, che è stato oggetto di studio
archeoastronomico da parte mia circa una decina di anni fa, quindi
precedentemente all’analisi del Duno di Clanezzo e che sarà preso in
esame tra poco. La stella Capella andava a tramontare dietro la cima del
Monte Ubione (895 mt. s.l.m.) la seconda altura di rilievo localmente
presente sul territorio.
Ubicazione delle strutture litiche di Prati Nuovi in Val
Brembilla
Quasi
all’inizio della Val Brembilla, la seconda valle laterale che dalla
Valbrembana si snoda verso nord-ovest, tra le montagne, in località
Prati Nuovi, un poco a valle dell’oratorio di S. Gaetano è possibile
rilevare l’esistenza di alcune strutture megalitiche formanti una serie
di cinque terrazzamenti digradanti lungo il pendio del lato occidentale
della montagna. Si tratta di in una serie di cinque muraglioni che
lasciano stupefatti per la loro mole e che si differenziano nettamente
dalle strutture murarie a secco costruite dai contadini locali a scopo
di contenimento del terreno e con lo scopo di realizzare dei
terrazzamenti sfruttabili ai fini agricoli.
Ubicazione reciproca del Duno di CLanezzo e del sito di Pratinuovi
San
Gaetano. I due siti sono intervisibili tra loro.
Il
luogo in cui sono collocate le strutture in pietra che, considerate le
dimensioni possono essere tranquillamente classificate come megalitiche,
mostra caratteristiche inconsuete. Esse sono poste lungo un grande
declivio, interamente rivolto ad occidente, delimitato a nord dal bosco
e a sud da strati di roccia. I muri sono cinque, pressochè paralleli e
tra di loro equidistanti, la cui lunghezza è pari a 21 metri nel caso
del muro posto più a monte, diminuendo gradualmente lungo i 17 metri di
pendio fino a giungere ai 16 metri nel caso del muro posto più a valle.
Per la loro costruzione sono state impiegate pietre di grosse
dimensioni, squadrate a mano, alcune delle quali potrebbero pesare
diversi quintali ciascuna. Nonostante
la mole e il peso, le pietre sono perfettamente connesse e sovrapposte
le une alle altre tanto che i cinque muri presentano un rilevante grado
di parallelismo tra di loro. Attualmente nulla è noto relativamente
all’origine delle strutture, nel senso che non sappiamo chi le costruì,
quale fosse la loro destinazione e soprattutto quando furono erette.
Localmente è diffusa la leggenda che la costruzione delle strutture
litiche sia stata anticamente opera di un solo uomo, ma l’impresa superò
sicuramente le capacità lavorative non solo di un singolo individuo, ma
anche quelle di una singola famiglia, quindi sembrerebbero piuttosto
un’opera prodotta da una collettività organizzata, ma non è per ora
chiaro il motivo che spinse alla loro costruzione. Per ora l’unica
spiegazione possibile per giustificare un’opera di tali dimensioni è che
non si tratti di terrazzamenti per coltivi in quanto una fatica del
genere è difficilmente giustificabile con la necessità di ottenere pochi
metri quadrati per un campo coltivato.
Una delle
imponenti strutture litiche di Pratinuovi in Val Brembilla
Lungo
quasi tutti i muri si rileva la presenza di un piccolo vano, una specie
di finestra, di dimensioni variabili, ricavato lungo il profilo del muro
e sormontato da poderose lastre di pietra con funzione di architrave.
Le “finestre” si aprono verso occidente e i loro assi risultano
paralleli tra loro con un rilevante grado di accuratezza. L’imponente
serie di muri è delimitata sui due lati da due scalinate in pietra, una
per lato, realizzate con molta cura, le quali sembrerebbero essere state
realizzate proprio con lo scopo di permettere l’accesso ai
terrazzamenti. Questo sembrerebbe essere suggerito dal fatto che sono
due, una per ogni lato; per la prosecuzione del sentiero ne sarebbe
stata sufficiente una sola, quindi è possibile ipotizzare che entrambe
le scalinate possano essere connesse con le strutture litiche e forse
coeve ad esse, cosa suggerita anche dalla tecnica costruttiva e dalla
tipologia dei materiali litici impiegati.
Planimetria del sito di Pratinuovi – San Gaetano a Zogno
Nel momento in cui si tenta di avanzare qualche ipotesi
sulla reale funzione che quelle strutture avrebbero potuto avere in
passato ci troviamo in seria difficoltà. In primo luogo ci troviamo
immediatamente di fronte al problema della loro datazione. Rispondere a
questa domanda è una questione di estrema complessità in quanto in
quella zona non sono mai stati eseguiti scavi ne archeologici ne di
altro genere, salvo che in occasione della costruzione, in passato, di
una casa di civile abitazione, edificata però consistentemente più a
lato, in direzione sud rispetto ai muri. Alcune persone del luogo
ricordano che durante la costruzione della casa pare siano stati
rinvenuti alcuni resti ossei umani di cui gli operai si liberarono
gettandoli a valle, ma la veridicità di questa storia non è
oggettivamente verificabile.
Traiettorie percorse dal Sole al tramonto dietro la Corna del Mezdè
l
solstizio d’estate nel 3000 a.C. nell’anno 0 e nel 2000 d.C.
Non
rimane quindi che avanzare qualche cauta ipotesi relativamente alla
datazione basandosi sulla struttura dei muri e sul modo con cui sono
disposte le pietre che li compongono, cercando strutture simili in altre
zone dell’Italia settentrionale ed eseguire alcuni confronti. In
particolare si rileva l’esistenza di strutture simili in Val d’Ossola,
più precisamente nei siti di Castelluccio e Croppole e ad Arvenolo, nel
comune di Crodo, ma anche in Valcamonica, in Trentino ed in Liguria,
nella zona di Savona, in quella di Ventimiglia e presso Nizza. In
particolare, la tipologia delle strutture murarie di Prati Nuovi è quasi
identica a quelle del vasto fortilizio detto “La Piastra Luceram” che fa
parte dell’oppidum di Kamenelon, sito fortificato eretto dai Liguri
Vandiantini durante l’età del Ferro, intorno alla metà del I millennio
a.C. sul promontorio presso Nizza.
Tramonto del Sole al solstizio d’inverno lungo l’asse longitudinale
delle strutture litiche di Pratinuovi in Val brembilla.
Nella sella tra
le due montagne a sinistra è posto il Duno di Clanezzo.
Le
strutture litiche ossolane furono però scavate dagli archeologi durante
gli anni ‘80 e rivelarono al loro interno la presenza di camere con
soffitto a falsa volta, ma resti antropici quasi nulli con il risultato
che la datazione delle strutture è risultata molto difficile anche nel
caso ossolano, anche se si pensa che esse possano risalire all’età del
Bronzo o a quella del Ferro. Nel nostro caso è quindi possibile
procedere solamente per similitudine. Le grandi dimensioni dei massi
utilizzati nel paramento murario, l’estrema accuratezza nella
disposizione a secco, la tecnica, chiaramente riconoscibile, che può
essere definita “a compartimenti” (ossia settori definiti da massi di
dimensioni maggiori, per limitare i danni di eventuali crolli di brevi
porzioni della muratura) farebbero supporre che il complesso sia stato
realizzato in epoca protostorica secondo una tecnica costruttiva nota e
diffusa in ambito celtico.
Una
delle due scalinate laterali intagliate nella roccia che delimitano il
sito di Pratinuovi
Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi, ma nel caso delle strutture
litiche di Prati Nuovi possiamo, sulla base della tipologia della
struttura e della similitudine del modo di disporre le pietre, rilevato
sia in Ossola che in altri siti, ipotizzare in prima approssimazione,
che la costruzione possa risalire molto indietro nel tempo,
probabilmente all’età del Ferro, forse IV o V secolo a.C. Rimane ora da
ipotizzare qualche destinazione più importante per l’area in oggetto.
La
piattaforma triangolare soprastante le strutture murarie parallele di
Pratinuovi
San Gaetano dove era posta un’antica sorgente.
La struttura risulta strategicamente posizionata, lungo
il versante orientale della Val Brembilla, in modo che avrebbe potuto
tenere agevolmente sotto controllo sia l’imbocco della Val Brembilla
lungo la Valbrembana sia tutta la valle fino all’abitato di Brembilla ed
in particolare l’antico sentiero che si snodava, in quota, lungo il
versante opposto della valle. Nonostante questo la disposizione dei
muri non mostra caratteristiche tipiche di una struttura difensiva in
quanto l’architettura rettangolare a terrazze non sarebbe stata
particolarmente adatta alla difesa. In secondo luogo essa non si trova
sulla sommità dell’altura quindi sarebbe stata molto vulnerabile da un
attacco proveniente da monte. Un’altra possibile ipotesi è quella che i
terrazzamenti avessero potuto servire come aree da utilizzare quale
insediamento.
Uno scorcio delle
strutture litiche a terrazzamento
Questa ipotesi potrebbe essere forse suffragata dalla
favorevole insolazione del luogo e dalla presenza in antico di una
sorgente di cui restano tracce in una struttura litica triangolare posta
nella parte superiore del primo terrazzamento, quello più a monte, le
quali mostrano inequivocabilmente il segno dell’erosione operata
dall’acqua che vi scorse per lungo tempo. Anche in questo caso, però
non sono per ora disponibili prove documentarie archeologicamente
oggettive capaci di confermare o meno l’ipotesi del luogo insediativo.
Un’altra ipotesi possibile è quella che prevede che il sito abbia
rivestito le funzioni di luogo sacro destinato al culto, non sappiamo
però ne quando ne come, ne di che cosa, anche se in epoca romana
sembrerebbe documentato un luogo in cui era praticato il culto di
Marte. Un fatto oggettivo di notevole interesse è che le strutture
risultano essere astronomicamente orientate, soprattutto la piccola
struttura triangolare sopra il primo terrazzamento, quindi la loro
edificazione sembrerebbe essere stata operata tenendo in considerazione
alcune direzioni astronomiche fondamentali connesse con il Sole, ma
forse non solo con esso. L’ipotesi che la struttura megalitica potesse
essere astronomicamente orientata fu inizialmente concepita da Carlo
Brambilla, Lino Galliani e Marco Locatelli, suffragata da una serie di
misure preliminari eseguite nel 1997 e verificate sperimentalmente
dall’osservazione del tramonto del Sole nel giorno del solstizio
d’estate dello stesso anno.
Particolare delle imponenti muraglie a secco sovrapposte.
In quell’occasione venne messo in evidenza che l’asse
perpendicolare alla struttura a gradoni puntava verso una sella, che
caratterizza il profilo della montagna posta ad ovest, sul lato opposto
della Val Brembilla, entro cui il Sole poteva essere visto tramontare
nel giorno del solstizio d’estate. La sella è posta un poco a sud
rispetto ad una cima detta, dagli abitanti della zona, “Corna del Mesdè”
che a sua volta è posta un poco più a sud del monte Ubiale (973 m s.l.m).
Durante i mesi di Settembre, Ottobre, Novembre e Dicembre 1999 fu deciso
di eseguire una nuova serie di rilievi di maggior precisione con il fine
di confermare, o meno, l’esistenza dell’orientazione astronomica messa
in evidenza nel 1997, ed eventualmente l’esitenza nel sito, di altre
direzioni astronomicamente significative. Le misure, ripetute in maniera
indipendente in cinque diverse occasioni, combinando rilevazioni al
teodolite con tecniche satellitari GPS (Global Positioning System),
hanno permesso di stabilire con un errore ridottissimo la direzione del
meridiano astronomico locale che è servito poi come linea di riferimento
a cui sono stati riferiti tutti gli azimut sperimentalmente rilevati sul
terreno. In particolare sono state messe in evidenza, nei punti di
stazione, deviazioni sistematiche dell’ago magnetico delle bussole,
variabili a seconda dei giorni in cui le misure furono ottenute, dai 2.8
a oltre 4 gradi in meno rispetto ai corrispondenti azimut astronomici.
La
sommità del primo terrazzamento a monte che mostra la piattaforma
triangolare sede dell’antica sorgente.
L’analisi delle misure di orientazione ha permesso di mettere in
evidenza che la correlazione tra la direzione media dell’asse
perpendicolare ai cinque muri con il punto di tramonto del Sole
solstiziale estivo entro la sella poco a sud della Corna del Mesdè,
ipotizzata da Brembilla, Galliani e Locatelli, è perfettamente
consistente, anche se la direzione di detto asse risulta orientata con
maggior accuratezza verso la sommità della Corna del Mesdè, quindi
alcuni gradi a nord rispetto alla posizione della sella.
Tipologia costruttiva dei muri a secco che compongono i terrazzamenti
litici del sito di Pratinuovi.
D’altro canto bisogna considerare che la direzione dell’asse dei muri è
stata ottenuta mediando gli azimut delle direzioni dell’asse di ciascun
muro quindi il risultato ottenuto presenta un certo grado di incertezza
che però risulta di entità inferiore rispetto alla discrepanza tra la
direzione dell’asse e la posizione teorica di tramonto del Sole nella
sella a sud della Corna del Mesdè, anche tenendo conto dell’incertezza
sulla datazione del manufatto.
La Corna del Mesdè
posta di fronte alle strutture litiche di Pratinuovi dietro la quale
tramonta il Sole al solstizio d’estate.
Quello che invece risulta accuratamente orientata
verso la sella è la media degli assi delle tre “finestre” cioè le
aperture rettangolari che si aprono nei muri. Il calcolo delle posizioni
teoriche di tramonto del Sole ai solstizi richiede di fissare un’epoca
per cui il calcolo deve essere svolto. In analogia con le strutture
litiche ossolane, liguri e camune, che presentano rilevanti similitudini
con quelle di Prati Nuovi, e che tra l’altro mostrano consistenti
allineamenti verso il punto di levata del Sole al solstizio d’inverno, è
stato deciso di eseguire i calcoli astronomici per un’epoca piazzata
all’età del Ferro, grosso modo corrispondente alla metà del I millennio
a.C. L’Astronomia ci dice che la variazione della posizione del punto di
tramonto del Sole ai solstizi varia lentamente nei secoli per effetto
del cambiamento del valore dell’obliquità dell’eclittica, cioè
dell’angolo di inclinazione dell’asse della Terra rispetto al piano
della sua orbita. Questo angolo varia dai 22 ai 24 gradi ciclicamente
in 41013 anni per cui la posizione dei punti di tramonto solstiziali
solari all’orizzonte naturale locale di un dato luogo varia di poco nel
corso dei secoli. Questo non è però vero nel caso delle stelle la cui
variazione di posizione dipende dalla Precessione degli Equinozi che fa
compiere un giro completo lungo l’Eclittica al punto in cui il Sole si
trova all’equinozio di primavera, in un intervallo di circa 26000 anni.
Anche se la collocazione cronologica più probabile sembra essere posta
circa a metà dell’età del Ferro, i calcoli delle posizioni di tramonto
solstiziale sono stati comunque ripetuti ad intervalli di 500 anni, dal
3000 a.C. fino all’anno 2000 d.C., in modo da verificare esattamente la
posizione del tramonto del Sole. I calcoli mostrano che la posizione del
punto di tramonto dell’astro diurno al solstizio d’estate osservato dal
luogo dove si ergono le strutture litiche è variata di circa 1 grado dal
3000 a.C. fino all’anno 2000, di conseguenza il Sole sta tramontando
entro la sella presso la Corna del Mesdè praticamente da 5000 anni con
una recessione della sua posizione pari a grosso modo al doppio del
diametro apparente del disco solare. In una simile situazione appare
evidente che la datazione delle strutture diventa una questione
accademica, rilevante dal punto di vista archeologico, ma poco rilevante
dal punto di vista archeoastronomico. Quello che è importante è che le
strutture sembrano con grande probabilità essere state volutamente
disposte in accordo con il punto di tramonto solstiziale estivo lungo
l’anno tropico. Dal punto di vista archeoastronomico è stato possibile
mettere in evidenza una connessione tra la direzione dell’asse delle
strutture e il punto di tramonto del Sole al solstizio estivo, ma la
questione è in realtà molto più complessa in quanto esiste un fatto
importante che non può essere trascurato ai fini di una valutazione
oggettiva della situazione. La direzione dell’asse delle strutture è
concorde con la normale al pendio del terreno su cui le strutture sono
ubicate, di conseguenza i terrazzamenti si snodano grosso modo
parallelamente alla linea di pendenza zero del pendio. Questo fatto è
molto importante in quanto potrebbe anche suggerire che le strutture
furono edificate nella direzione più comoda possibile e che quindi il
loro asse vada ad essere casualmente concorde con la direzione del
tramonto solstiziale estivo. Questo può essere certamente vero o per lo
meno possibile, ma esistono due fatti che fanno diminuire la probabilità
di orientazione verificatasi casualmente. Il primo è che la direzione
del tramonto solstiziale estivo è concorde con l’asse delle aperture (le
“finestre”) più che con l’asse medio dei muri che punta verso la sommità
della Corna del Mesdè, circa 4 gradi più a nord. Questa orientazione
ottenuta con un’incertezza di circa 1 grado è probabilmente risultante
dalla particolare disposizione dei terrazzamenti trasversalmente
rispetto alla linea di massimo gradiente del pendio, mentre le tre
grandi aperture sembrano accuratamente orientate, infatti i loro assi
risultano molto più paralleli tra di loro di quanto non lo siano quelli
dei muri entro cui sono state ricavate. In secondo luogo, al di sopra
del primo terrazzamento rileviamo la presenza di una struttura litica
triangolare, quella relativa all’antica sorgente già citata in
precedenza, la cui esistenza è oggettivamente documentata da antichi
scritti redatti nella valle, per lo più documenti notarili redatti con
lo scopo di definire i confini dei terreni e delle proprietà. Tale
struttura che è di dimensioni più ridotte rispetto alla lunghezza dei
muri, sovrasta il primo terrazzamento, quello più in alto e ha il suo
asse allineato verso la cima del monte Ubiale, uno dei due lati verso un
punto posto qualche grado a sud della cima del monte Ubione e l’altro,
con qualche grado d’errore, verso la direzione del Polo Nord celeste. I
lati di questa struttura non sono concordi con la linea di pendenza zero
del pendio, quindi la struttura fu volutamente costruita nel modo
rilevato. In prossimità del vertice è posto un monolito, di cui non
conosciamo la funzione, e che è servito durante i rilievi come punto di
stazione permanente per le rilevazioni satellitari necessarie alla
georeferenziazione del sito (Latitudine: 45° 47’.452; Longitudine: 09°
37’.770). Il lato orientato a sud della cima dell’Ubione concorda molto
bene con la direzione del punto di tramonto del Sole al solstizio
d’inverno all’orizzonte naturale locale durante l’età del Ferro. Nel
caso del solstizio d’inverno, la variazione della posizione del punto di
tramonto, dal 3000 a.C. all’anno 2000 d.C., è aumentata di poco più di 1
grado pari a circa due volte il diametro apparente del disco solare,
quindi l’allineamento è verificato ancora oggi e la verifica
sperimentale è stata eseguita al solstizio d’inverno del 1999. Lungo la
stessa direzione, durante la notte, poteva essere osservato durante
l’età del Ferro anche il tramonto delle stelle della costellazione di
Orione, dietro le alture, per tutto l’inverno fino all’inizio di Aprile,
quindi anche nel periodo in cui avveniva l’equinozio di primavera.
Lungo l’asse della struttura triangolare era osservabile, ogni notte, il
tramonto della stella di prima grandezza Arcturus nella costellazione del
Boote, dietro il monte Ubiale, durante l’estate fino all’inizio di
Novembre. Questi astri sono documentati essere stati importanti per le
antiche popolazioni alpine sia di matrice celtica che retica e molti
allineamenti verso i loro punti di levata e di tramonto sono stati
sperimentalmente rilevati nelle strutture litiche che furono costruite
da queste popolazioni antiche durante l’età del Ferro. Il lato della
struttura litica che guarda verso settentrione è allineato lungo una
direzione posta circa 7 gradi a ovest del Polo Nord celeste. Qui
rileviamo un fatto molto importante, infatti durante l’età del Ferro, a
causa del fenomeno della Precessione degli Equinozi, la posizione del
Polo Nord celeste era diversa da quella di oggi, in particolare la
stella “polare” di quel periodo non era la stella Polare attuale, bensì
Kochab, Beta Ursae Minoris, una stella del quadrato della costellazione
dell’Orsa Minore. Questa stella era, a quei tempi, quella più vicina al
polo nord celeste, ma non coincideva con esso distandone circa 7 gradi,
per cui ogni notte a causa della rotazione della Terra, passava ad ovest
del polo concordemente con la direzione del lato della struttura litica
triangolare ad un’altezza apparente di una quarantina di gradi rispetto
alle montagne di sfondo, verso la Val Taleggio, la successiva valle
trasversale della Valbrembana, salendo verso nord. Il tracciamento di
direzioni polari sfasate dell’ordine di grandezza rilevato nel caso
della struttura triangolare è risultata essere piuttosto comune
nell’ambito delle culture alpine sviluppatesi durante l’età del Ferro,
quindi la direzione definita dal corso di pietre si può ritenere con
buona probabilità orientata tentativamente verso la direzione nord
astronomica cioè quella lungo la quale tutte le stelle e le
costellazioni sembrano ruotare ogni notte, ottenuta usando il
riferimento più oggettivo, più prossimo al polo e più facilmente
identificabile in cielo, cioè la stella Kochab, nell’Orsa Minore.
Paradossalmente la struttura astronomicamente più significativa sembra
essere questa piccola terrazza triangolare più che i grandi
terrazzamenti esistenti nel sito, ma questo è perfettamente sensato
tenendo conto del fatto che l’antica sorgente d’acqua era connessa
proprio con questa piccola, ma probabilmente molto importante,
struttura. L’ipotesi che nel sito siano marcate in qualche modo
entrambe le direzioni dei tramonti solari solstiziali ne trascina con se
un’altra basata sul fatto sperimentale che dalla sommità delle strutture
litiche sia possibile osservare il tramonto del Sole lungo tutta la sua
amplitudine occasa ovvero dal solstizio d’inverno a quello d’estate e
viceversa lungo il profilo dell’orizzonte naturale locale rappresentato
dalle varie alture visibili dal luogo. Questa favorevole situazione
poteva essere utilizzata, come è avvenuto nell’antichità presso altri
luoghi in cui erano insediate popolazioni alpine, per definire una sorta
di calendario solare utile alla scansione del tempo durante l’anno e la
pianificazione delle attività agricole. Il profilo delle alture è tale
che possono essere individuati alcuni punti di riferimento che possono
essere le cime dei monti Ubione, Corna del Mesdè e delle selle tra una
montagna e l’altra. Anche la visibilità di alcune stelle poteva
contribuire alla ripartizione dell’anno. Il Sole era visto tramontare
dietro la cima di un monte o di un altro due volte durante l’anno, in
epoche ben definite che avrebbero potuto avere un senso per la
popolazione stanziata nella zona. Ovviamente il calcolo astronomico ci
permette di calcolare facilmente senza difficoltà le date lungo l’anno
in corrispondenza delle quali il Sole era visto tramontare dietro una
determinata montagna o entro una certa sella, ma non possiamo avere
alcuna conferma che questo metodo sia stato effettivamente applicato
presso il complesso delle strutture litiche di cui ci stiamo occupando
in questa sede e nemmeno ci può essere noto il significato per gli
antichi abitanti del luogo delle date che ne possono risultare. A questo
punto dobbiamo riassumere la situazione. In sito esistono alcune grandi
strutture litiche che formano cinque terrazzamenti favorevolmente
orientati dal punto di vista dell’insolazione. In secondo luogo alla
sommità di esse esiste una struttura litica di dimensioni più compatte
che delimita una terrazza triangolare volutamente costruita in quel modo
e connessa con un’antica sorgente, la quale è risultata astronomicamente
molto ben orientata, soprattutto durante l’epoca collocabile
cronologicamente all’età del Ferro. La configurazione globale del sito
potrebbe allora far propendere per l’idea di un insediamento o di un
luogo sacro o per lo meno qualcosa di simile, ma senza il supporto di
risultanze oggettive derivanti dagli scavi archeologici
l’interpretazione non può che rimanere solamente allo stadio di ipotesi
più o meno probabile. Va comunque anche messo in evidenza che la
denominazione “Corna del Mesdè” che è stata assegnato dalla popolazione
locale alla cima della montagna posta a sud del monte Ubiale,
esattamente di fronte alle strutture litiche e che in dialetto
bergamasco significa “Rupe del Mezzogiorno”, è emblematico e richiede
una certa considerazione. Allo stesso modo è presente nel testo di un
manoscritto notarile redatto a Laxolo dal notaio Pietro Martini il 1
Aprile del 1481, conservato nell’archivio parrocchiale di Brembilla e
connesso con con una questione di tracciamento di confini, un
riferimento ad una montagna anticamente denominata “Pizzum Solis”, cioè
Pizzo del Sole, montagna posta nei pressi dell’abitato di S. Pellegrino
Terme. Comunque è interessante rilevare la presenza nella zona di almeno
due toponimi connessi con il Sole che indicano che la posizione assunta
dall’astro diurno nel cielo fu da tempo immemorabile un punto di
riferimento oggettivo per le comunità rurali della valle. Va peraltro
messo in evidenza che situazione connessa con la denominazione “Corna
del Mesdè” assegnata al monte posto di fronte alle strutture litiche di
Prati Nuovi risulta piuttosto singolare. Lungo l’arco alpino si rilevano
non meno di una dozzina di monti denominati “...del Mezzogiorno” e tutti
immancabilmente si riferiscono ad una cima che è posta esattamente a sud
lungo il meridiano astronomico locale rispetto ad una borgo i cui
abitanti la chiamano abitualmente in quel modo. La ragione è che
pressoché al mezzogiorno vero del luogo, il Sole splende alto sopra la
cima in oggetto e questo serviva in passato da riferimento orario per le
popolazioni rurali stabilite in quel borgo e negli immediati dintorni.
Nel caso della Val Brembilla ciò non avviene in quanto dalle località
poste a nord lungo il meridiano astronomico locale passante per la
“Corna del Mesdè” non è possibile vedere la cima in oggetto essendo essa
schermata dal più elevato monte Ubiale posto immediatamente a
settentrione. D’altro canto dalle strutture litiche di Prati Nuovi la
“Corna del Mesde” è vista ad ovest, quindi non a mezzogiorno. In questo
caso il mistero racchiuso in questo toponimo rimane ancora da svelare.
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