COLTELLERIA BERGAMASCA
IL COLTELLO BERGAMASCO E' NATO IN VAL BREMBANA
di Piergiorgio Mazzocchi - Tratto
da "Coltelli che Passione" Giugno
1994
"Traggonsi
lame grezze da Gromo, Gandolì e Coleret".
Questo
è un accenno rivolto alle lame grezze portate a Brescia dalla
provincia di Bergamo per essere finite, incise e messe sul mercato.
La citazione è contenuta un documento conservato nella celebre
Biblioteca Queriniana di Brescia e parla appunto della produzione
delle armi bianche in Brescia e provincia nel 1600. Si tratta di un
accenno molto interessante in quanto documenta come nei secoli
scorsi nelle valli Bergamasche, caratterizzate da una economia
agricola povera, si integrassero le entrate lavorando ferro estratto
dalle miniere o legno e sfruttando anche l'energia fornita
dall'acqua. Giacimenti di ferro erano già conosciuti al tempo dei
Romani e da questi sfruttati sia in Valle Brembana che Val Seriana,
dove appunto si trovano i sopraccitati paesi. Naturalmente non è il
più antico dei documenti che testimoniano tale attività ma è
comunque molto interessante in quanto si dimostra che tale attività
era tanto fiorente da raggiungere un livello di tipo - per quei
tempi - industriale e da esportare il prodotto grezzo o rifinito. La
produzione delle armi bianche venne a crollare quando le armi da
fuoco portarono "innovazioni" tale da farle cadere sempre
più ad un ruolo semplicemente rappresentativo. Ma nelle valli
Bergamasche sopravvisse nei secoli successivi una piccola produzione
destinata alle esigenze di mercato locali. Produzione che si ridusse
piano piano ai soli coltelli da tasca ed agli utensili di uso
agricolo e casalingo.
Non staremo ora
in questa sede ad analizzare il significato ed il valore sociale del
coltello nei secoli scorsi, comunque resta il fatto che soprattutto
per la gente di montagna era un oggetto utilissimo e insostituibile.
Nelle valli Bergamasche si venne a formare con il tempo un tipo di
coltello che possiamo vedere in molti quadri o affreschi del '400 in
poi e che a lungo andare darà origine a quella forma tipica che ha
assunto oggi il coltello detto appunto "Bergamasco".
Figura 1. Lama fissa del XVI secolo su manico in
corno di camoscio: le caratteristiche sono già quasi del tutto
(ad eccezione del manico) quelle tipiche del coltello “ Bergamasco”.
Dal
'500 in poi la forma di questa la ma riamane pressoché invariata,
cambierà soltanto il manico: fisso inizialmente a mo' di pugnale, a
serramanico successivamente a causa delle leggi che via via
definivano la foggia o le dimensioni, riuscendo sempre di più la
pericolosità dell'arma. La trasformazione è dovuta soprattutto per
motivi di pubblica sicurezza in quanto spesso nelle risse compariva
la cosiddetta "spada del popolo". Una stampa del 1830
parla appunto di questo, definendo le forme dei coltelli che si
potevano portare o detenere.
Figura 2. Coltello Bergamasco del XVI – XVII secolo
trasformato serramanico, di fattura piuttosto rozza.
A questo punto è
però indispensabile accennare al fatto che nelle diverse valli
nacquero diverse fogge di coltelli; la più conosciuta di queste è
quella che attualmente viene definita modello "Bergamasco"
ma che è tipica della Valle Brembana (e così preferiremmo
chiamarla). Questo modello veniva costruito in alta Valle Brembana:
a Valtorta (l'ultimo coltellinaio, Paolo Anovazzi, è morto intorno
alla metà degli anni '80), a Camerata Cornello (dalla famiglia
Belotti, attiva fino agli anni '50) e probabilmente anche in altre
località venivano costruiti coltelli (per esempio a Rota Imagna
dalla famiglia Moscheni). Per quanto riguarda il coltello a
serramanico, caratteristica è la forma della lama: fortemente
ricurvo il lato del filo, molto adatto a scuoiare animali e a
lavorare forme di formaggio o per lavorare il legno (cucchiai,
zoccoli, archetti per catturare uccelli); con una gobba sul lato
opposto molto vicina alla ghiera mentre dalla metà in poi si forma
uno sguscio tale da conferirle la forma di una mezzaluna. Il manico
di solito è in legno di bosso in un pezzo unico, con ghiera di
ottone o in ferro senza molla. Anche il manico ha una foggia
caratteristica, ricurvo per contenere la lama e una protuberanza al
termine per consentire una migliore (oggi si direbbe
"anatomica") presa con la mano.
Figura 3. Serramanico
probabilmente del XVIII secolo con
manicatura molto
originale e schiena dalla lama finemente lavorata.
Le lame venivano ricavate
da materiale di recupero: balestre di carro, ma soprattutto vecchie
lime (Anovazzi) oppure, molto ricercate, le lame fatte con il codolo
delle falci una volta consumate le falci stesse (Belotti).
Particolare era il tipo di affilatura di questi coltelli: sul lato
destro la lama presentava una convessità, sul sinistro la lama era
perpendicolare alla linea del filo. A questo punto è inevitabile
citare il Baronti con il suo libro "Coltelli d'Italia",
dove scrive:
" …uno dei più belli coltelli italiani, il
coltello Bergamasco, che con la mobilità delle sue semplici linee,
la proporzionata leggerezza e insieme la potenza delle sue meditate
forme riesce immediatamente a dare il senso della perfezione
estetica e del rigore funzionale".
Passiamo ora ad
esaminare alcuni pezzi della raccolta ritratta nelle immagini a
corredo dell'articolo, partendo dai più antichi. Nella prima figura
vediamo una lama fissa su un corno di camoscio (cm 32), si tratta di
una lama del XVI secolo: è interessante la "gobba" e il
filo "pettoruto", caratteristiche queste che rimangono
ancora oggi e sono rimaste pressoché invariate per quattro secoli,
pur cambiando la foggia del manico.
Figura
4. Coltelli “Val Brembana” opera di cinque diversi artigiani.
Figura
5. Serie di coltelli dell’ultima produzione di Paolo Anovazzi di
Valtorta (Bg).
Nella seconda
figura si nota sempre una lama del XVI-XVII secolo (cm 33)
inizialmente fissa e trasformata a serramanico probabilmente nel
secolo scorso, dalla fattura molto rozza. Si tratta di due lame
tutto sommato ben conservate, a dispetto dell'età. Nella figura n°
4 ci sono dei coltelli "Val Brembana" di diversa foggia e
fattura: i primi due senza ghiera, le lame vengono bloccate con
pernio e pernietto, sistema usato anche in altri modelli italiani
(da cm 29 a cm 14). Gli altri con ghiera in ottone o di ferro; i
manici, tranne il secondo, sono tutti in legno di bosso. Si tratta
di pezzi usatissimi ma che comunque denotano cinque "mani"
diverse; soltanto due portano il marchio "Apv" (Anovazzi
Paolo-Valtorta). Nella figura n° 6 abbiamo un "magnum"
(cm 41) con marchio "Edelweiss" prodotto negli anni '50 a
Premana (Como), i due centrali con manico di faggio (rispettivamente
lunghi 24 e 18 centimetri) risalgono agli anni '30 e sono marcati:
"Santo" di San Giovanni Bianco (Bg) e "Berera",
coltelleria di Bergamo tuttora esistente in via San Bernardino, che
produceva coltelli fino all'inizio del secolo e tuttavia già negli
anni '30 commissionava i coltelli a Premana con proprio marchio.
Figura
6. I coltelli raffigurati sono marcati con punzoni “Edelweiss”,
“Santo”, “Berera”, “Codega”; risalgono tutti al periodo
che va dal 1930 ad oggi e sono costruiti nel Bergamasco e a Premana
(Co), paese dove ancora si produce questa tipologia di coltello.
L'ultimo pezzo è di produzione attuale "Codega" (cm 21),
manico in bosso con motivi tradizionali dei pastori, scolpiti dal
proprietario del coltello. Anche se la produzione in Valle Brembana
e Valle Imagna è attualmente finita, possiamo intuire che ci
fossero diversi coltellinai i quali, pur rimanendo fedeli ad un
modello principale, hanno lasciato la propria "firma" nei
piccoli particolari, tanto da fare riconoscere ancora oggi a prima
vista un "Valtòrt" da un "Belòt" non solo
dagli appassionati, ma dai mandriani e dai pastori stessi.
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