IL NOSTRO COLTELLO DELLA MONTAGNA
di Piergiorgio Mazzocchi - Tratto
da "Caccia in Val Brembana"Anno IX Agosto 2005 N° 25
Modello
classico Valle Brembana
Nelle valli bergamasche, ad una economia basata su una povera agricoltura
di montagna, è sempre stata affiancata un’attività artigianale di
lavorazione del legno e del ferro, per integrare le entrate e per coprire
i tempi morti dati dalle pause stagionali e vista anche la disponibilità
di materie prime come legname, ferro e l’ abbondanza d’acqua da
sfruttare come forza motrice. Soprattutto in inverno ci si dedicava alla
costruzione di oggetti di supporto all’agricoltura o per la casa. Tra
gli oggetti di uso quotidiano, indispensabili per chi lavora in alpeggio,
nei boschi, o per chi si dedicava alla caccia, era il coltello da tasca.
Quel coltello tanto amato da essere quasi un oggetto di culto da parte di
alcuni, che lo personalizzavano con intagli a motivi tradizionali e con il
nome del proprietario. Della ricchissima produzione di armi bianche nel
medioevo e fino al XVII, armi in asta come alabarde, falcioni, ronconi,
partigiane, prodotte a Zorzone e Oltre il Colle, alle lame e spade
prodotte a Gromo, dove si producevano finissime spade e lame grezze da
esportare (“traggonsi lame grezze da Gromo, Gandolì et Colaret” cita
un documento del secolo XVII, conservato nella biblioteca Queriniana di
Brescia), sino ai coltelli da macelleria, prodotti a Clusone, esportati ed
apprezzatissimi in Inghilterra all’inizio del XX secolo, non rimaneva
alla metà di quel secolo che la produzione di attrezzi agricoli dei magli
e la piccola produzione locale di coltelli da tasca. Nelle nostre valli,
già sin dal tempo dei romani, e forse anche prima, si estraeva il ferro,
che era lavorato sul posto, ed
è proprio grazie alla presenza di minerale ricco di ferro che si era
sviluppata la produzione di
armi bianche che cominciò a decadere con l’avvento delle armi da fuoco.
Il coltello bergamasco è un manufatto esclusivamente da lavoro o d’uso
quotidiano, ben lontano dai modelli e misure di altri coltelli italiani
che già fin dal primo sguardo fanno capire che non erano certo stati
fatti per tagliare un pezzo di “bergna” (carne secca) o di formaggio.
Tuttavia proprio perché di uso quotidiano e oggetto personale raggiunse,
grazie anche all’abilità, all’estro e in alcuni casi al gusto
artistico del coltellinaio, una forma e un modello che si è guadagnato,
sul libro “Coltelli d’Italia” di Giancarlo Baronti questo bellissimo
riconoscimento “… uno di più belli tra i coltelli italiani, il
coltello bergamasco, che con la mobilità delle sue semplici linee, la
proporzionata leggerezza e insieme la potenza delle sue meditate forme
riesce immediatamente a dare il senso della perfezione estetica e del
rigore funzionale”.
Il Modello Base
Il coltello bergamasco tuttavia, come già scrissi in un articolo sulla
rivista “Coltelli che passione”, del giugno 1994, andrebbe meglio
definito in quanto ci sono modelli diversi dovuti ai luoghi di produzione,
modelli dettati anche dall’uso a cui era destinato. Si vengono così a
formare due modelli principali che definii appunto, modello Val Brembana,
e modello Val Seriana. Il primo è il classico bergamasco, con la lama
ricurva, adatto a lavorare un pezzo di legno, forme di formaggio,
scuioiare, costruire archetti. Si presenta con un filo ricurvo, una gobba
sul lato opposto, vicina alla ghiera, che facilita l’impugnatura perché
permette di appoggiarvi il pollice. Dalla gobba in poi, più o meno marcata
a seconda del gusto del coltellinaio, si delinea uno sguscio tale da
conferire la forma di una mezzaluna. Il manico di solito è in legno di
bosso, a volte di corniolo, segue la produzione degli anni sessanta,
settanta, in faggio, fino agli ultimi in ciliegio e in noce; vi sono
tuttavia delle eccezioni rare, ma gustose di esempi in corno bovino (Foppolo
e Pizzino).
Fig.1 - Modello Classico Valle
Brembana.
Coltello di Foppolo con manico in corno nero bovino
Anche il manico ha una forma molto particolare: è leggermente ricurvo per
contenere la lama e termina, al tallone, con una elegante protuberanza che
migliora la presa, oggi lo definiremmo di forma anatomica. La ghiera,
oltre che di valore estetico serve per fissare meglio la lama, nei più
antichi è in ferro ora è di ottone. Non esiste il fermo per le lama e
questo è dovuto al fatto che con il fermo il coltello rientrava nei
modelli proibiti. La forma del coltello ci appare già abbastanza definita
negli affreschi del quattrocento presenti sul nostro territorio e anche in
alcuni quadri del secolo successivo, i primi coltelli tuttavia erano a
tronco fisso. Il coltello chiudibile, anche se conosciuto era più raro e
soltanto in seguito per le restrizioni imposte, per motivi di sicurezza,
si venne a formare la forma attuale chiudibile. A questo proposito è
possibile vedere nel Museo della Valle di Zogno, un’ordinanza austriaca
del 1830, dove si stabilisce la forma e la misura dei coltelli permessi e
le pene per chi portava modelli vietati.
Ecco i più antichi
Fig.2 - Ecco uno dei modelli a tronco fisso più antichi. La lama più grande
probabilmente la più antica ritrovata fino ad oggi. La seconda non è mai
stata montata sul manico è rimasta un “incompiuto”. La lama del
coltello intero si può far risalire agli anni a cavallo dei secoli
XVI-XVII. E' montata su un corno di camoscio, probabilmente posteriore all'epoca
della lama.
Fig.3 -
Coltelli di Carona a lama fissa ma non antichissimi, probabilmente erano
destinati all'uso in cucina.
Fig.4 -Coltello che in
origine era a tronco fisso e rifatto successivamente a modello chiudibile.
Fig.5 - Tronco fisso, molto vecchio, la lama già richiama il modello classico
brembano.
Lo usavano per accendere il fuoco
Fig.6 - Coltello con
acciarino.
Vecchissimo serramanico, privo di punzone. Difficile stabilire l’età di
questo coltello, una cosa è certa: sul dorso della lama presenta una
zigrinatura a motivi “apparentemente” ornamentali, si tratta invece
della parte metallica dell’acciarino. Sfregando la pietra focaia sul
dorso della lama (si nota sul pezzo una notevole usura), si ottenevano le
scintille che cadendo sull’esca accendevano il fuoco. Noi siamo abituati
ad accendere il fuoco con l’accendino, alcuni ricordano, o usano ancora
i fiammiferi, ma l’uso dell’acciarino arriva almeno fino alla metà
del secolo XIX e non è solo per gusto estetico che si lavora il dorso
della lama di un coltello o stiletto da caccia.
Il coltello a due mani
Fig. 7 - Il grosso coltello usato a due mani di Mezzoldo.
Anche oggi ci sono dei tentativi di applicare un fermo alla lama per
renderla più sicura, io sono dell’idea che chi non sa usare un coltello
come questo, forse, è meglio che non usi coltelli da tasca. Le lame erano
anticamente ricavate da vecchie lime, balestre di carro e anche dal codolo
della falce quando questa aveva raggiunto il limite del suo utilizzo,
tuttavia anche in epoca piuttosto recente vi erano dei coltellinai che
ricavavano in loco il metallo come, ad esempio a Mezzoldo dove Carlo
Molinari, 1880 – 1944, estraeva in una località vicino all’attuale
“bar Baita” il metallo. Preparava e ammassava il minerale
all’interno di una catasta di legna e una volta esaurito il fuoco,
portava a valle i blocchi di metallo che si erano formati con il calore,
questo era poi purificato con martellatura. Questa tecnica molto
probabilmente era usata anche in altre zone, in periodi di scarsità di
materiale e certamente è quanto rimaneva della conoscenza delle tecniche
usate nell’antichità per ricavare il metallo che si lavorava nelle
nostre valli. Il Molinari di professione era boscaiolo e in inverno
costruiva coltelli su ordinazione, possedeva una piccola fucina, senza
maglio, preferiva usare acciaio di lima, in mancanza di questo se lo
autoproduceva. Costruiva anche modelli molto grandi per lavorare il legno
(vengono infatti impugnati come un coltello a due mani) , i suoi coltelli,
tra quelli vecchi, sono i più grandi arriva a cm. 36 coltello aperto un
pezzo in mio possesso, contro i cm. 31 del modello di Cassiglio. A
Mezzoldo era attivo, in località Scaluggio fino al 1925, un maglio,
segheria e mulino, posti a diversi livelli nella stessa casa per sfruttare
meglio la caduta dell’acqua, purtroppo l’ultima alluvione ha portato
via tutto, più su verso il passo S. Marco , piu o meno nella zona già
citata c’era una fonderia, quindi si lavorava tutto in loco! Il
coltellinaio rimasto più famoso in valle è Paolo Anovazzi di Valtorta
scomparso negli anni ottanta del secolo scorso, è anche stato l’ultimo
della vecchia generazione. Usava molto lame ricavate dalle lime, bosso per
il manico, firmava le lame con il punzone APV (Anovazzi Paolo Valtorta),
possedeva una piccola fucina, senza maglio e anche suo padre era
coltellinaio. A Valtorta esisteva anche una forte tradizione nella
produzione di chiodi, alla quale si dedicavano diverse famiglie in
inverno.
Fig. 8 - Produzione APV - Anovazzi Paolo Valtorta.
Lame riciclate dalle falci
Altra famiglia molto famosa in valle era quella dei Belotti di Camerata
Cornello che produceva non soltanto coltelli da tasca, ma anche coltelli
da cucina, da macelleria e ferri agricoli. L’ultima produzione di
coltelli non era firmata (esistono vecchissimi modelli con il punzone B,
ma non è accertato che siano loro) tuttavia i loro modelli sono
riconoscibilissimi perché avevano l’abitudine di lavorare il manico,
sempre in bosso, con una zigrinatura a “calcio di pistola” ed anche se
altri occasionalmente la usavano era una loro peculiarità. Usavano per le
lame vecchie lime, balestre e gli unici forse a riciclare il codolo della
falce, che era fornito dallo stesso richiedente.
I Belotti erano abilissimi anche nel forgiare i ferri da miniera con una
conoscenza molto approfondita anche sul minerale da estrarre e in base
alla qualità di questo forgiavano, dopo aver analizzato il sasso, un
ferro con tempra adeguate a questo usando la tecnica del “fer assalat”:
su una lama morbida si applicava sul filo, per “bollitura”, una lamina
più sottile di acciaio durissimo, tecnica questa conosciuta e applicata
anche dai Celti e precede la tecnica dell’acciaio a strati o
“damasco”.
Fig.9 - Produzione
Belotti di Camerata.
Anche a Zorzone, ed è turale data la secolare tradizione della produzione
di lame, e del lavoro in miniera, era attivo fino agli anni settanta,
ottanta del secolo scorso Palazzi Angelo detto “Pustì”. Costruiva il
modello classico della valle Brembana su ordinazione, a volte usava la
zigrinatura come i Belotti, probabilmente su espressa richiesta del
committente.
Fig.10 - Lama
punzonata BC Carona.
Fig.11 - Bel modello con lama firmata Riceputi.
A Carona vi erano magli, fucine, segheria e mulino (ora in fondo al lago
artificiale) dove probabilmente si lavorava il metallo estratto sull’Armentarga.
Fino agli anni settanta è stato attivo Riceputi Giuseppe 1888- 1972,
professione mugnaio e fabbro. Costruiva coltelli soprattutto per i “bergamì”,
comunque su ordinazione. Punzone GR con il segno dell’unghia molto
elegante richiama un animale mitologico o un coccodrillo. Anche il figlio
Riceputi Fiorino 1913-1973 era costruttore di coltelli, il soprannome di
famiglia era “i Ferdinancc”). Il nipote che ci ha raccontato la storia
possiede ancora tutta l’”attrezzatura” e non sa se c’erano altri
coltellinai, tuttavia possiedo tre coltelli con il punzone BC CARONA, il
che fa pensare che nelle fucine si lavorassero un buon numero di coltelli
da mandare sui mercati o nelle fiere, e che ci fossero altri coltellinai.
Anche il coltello di Carona ha il manico in legno di bosso e la qualità
dell’acciaio è elevatissima.
Il più conosciuto e anche il più bello è quello di Foppolo
Il coltello più sconosciuto, ma senza ombra di dubbio il migliore per
qualità dell’acciaio (forse lame di Carona), ed abilità di costruzione
oltre a gusto artistico è quello di Foppolo dove erano attivi fino a
circa settant’anni fa i Papetti Antonio Luigi e Sandro. Di professione
bergamì, possedevano un piccola fucina dove in inverno costruivano
coltelli e piccoli attrezzi su ordinazione. Erano anche bravissimi a
scolpire il manico in bosso con animali mitici come l’immagine che
proponiamo. Uno dei rarissimi esempi di manico in corno bovino e di questa
famiglia, l’altro è di un “obbista” ante litteram vissuto
all’inizio del XX secolo a Pizzino (Taleggio), un certo Vitali,
professione bergamì transumante tra Pizzino d’estate bassa milanese in
inverno. Costruiva coltelli in corno bovino, abbelliti con intarsi in
ottone usando la tecnica del “chiodo”: praticamente eseguiva dei
disegni ottenuti con una specie di punteggiatura fatta con chiodini di
ottone con un ottimo risultato estetico. Probamente acquistava le lame.
Fig.12 - Modello di Foppolo
Alti coltelli erano prodotti in zona Acquada (Zogno), ma non è dato
saperne di più per il momento come del resto per Cassiglio. Anche a Lenna
nelle vicinanze del santuario della Madonna della Coltura probabilmente
producevano coltelli Rinaldo Paganoni e Vittore Calvi. Le due
famiglie possedevano mulino, maglio e fucina. Poco lontano in località
Miniera vi era effettivamente una miniera di proprietà della famiglia
Calvi. Che qui si costruissero coltelli è qualche cosa di più di una
supposizione, perché alcuni pastori (i Cler) ricordavano coltelli
provenienti da quella zona. Anche in valle Imagna fino agli anni cinquanta
del secolo scorso si facevano coltelli da cucina in gran numero, e da
tasca su ordinazione (specialmente roncole chiudibili) a Rota Dentro dalla
famiglia Moscheni (i Cinqui) che possedeva un maglio sul torrente Imagna.
Nel maglio di Clanezzo dove la famiglia Personeni ha lavorato
dall’inizio del secolo scorso non si producevano coltelli da tasca , in
compenso si forgiavano un gran numero di coltelli da cucina fino agli anni
sessanta.
Praticamente se si scava si può trovare una produzione di coltelli
modelli Valle Brembana in ogni paese dell’alta valle, coltelli che
venivano esportati anche in Francia dai nostri emigranti, soprattutto dai
boscaioli e dai carbonai sin dal 1800, e in numero di pezzi piuttosto
elevato.
Con la scomparsa degli ultimi coltellinai si è corso il rischio di
perdere la tradizione del nostro coltello, ma forse l’attaccamento e
l’abitudine a quelle forme e linee da parte della nostra gente ha fatto
in modo che la produzione fosse portata avanti dai coltellinai di Premana.
Il coltello bergamasco non è nato a Premana, tuttavia, data la richiesta
del mercato e dei rivenditori (molti coltelli venivano prodotti per negozi
con il punzone recante il cognome del rivenditore, quindi può capitare di
vedere gli stessi coltelli con firme diverse), la produzione continua
ancora oggi, sia nei modelli Valle Brembana, sia nel Valle Seriana, anche
se la qualità delle lame lascia un po’ a desiderare in confronto alla
produzione autoctona. Va comunque riconosciuto il merito ai premanesi di
aver mantenuto viva la nostra tradizione.
Negli ultimissimi anni, grazie anche all’interesse dei collezionisti e
la voglia di una riscoperta della nostra coltelleria, è rinata una
produzione bergamasca dei nostri coltelli. Si tratta di hobbisti e
appassionati, saggiamente consigliati da qualche esperto come ad esempio
Benedetto Valoti del “Maglio di Seriate”, (la sua famiglia esercita la
professione del “maer”- maestro di ferriera da generazioni) i quali
hanno ripreso una produzione, piccola sì, ma di notevole qualità, sia
dal punto di vista estetico, anche con legni e materiale pregiato, sia
nell’acciao, riproducendo anche il “damasco” o acciaio a strati.
Benedetto è anche il portatore di tradizione e conoscenza della
lavorazione e forgiatura del gruppo di ricerca “ Coltellinai e
forgiatori bergamaschi” molto conosciuto anche fuori provincia , in
Italia e anche all’estero. L’associazione, nata nel 1991, su
iniziativa di una gruppetto di cultori, Emilio Alberici, Luca Pizzi,
Danilo Brugali, Galizzi Flavio … che
presero spunto dall’iniziativa di Eligio Ambrosioni di riproporre una
dimostrazione della forgiatura del damasco nel maglio di Seriate di
Benedetto Valoti . Anche a tutti i nuovi coltellinai e stimatori va un
ringraziamento per il merito nel tener viva una tradizione a molti
sconosciuta, per il rinato interesse che permette, ad altri di sfoggiare
con gli amici un bell’oggetto del quale si va fieri e che è considerato
di identità.
Fig.13 - Coltello di Foppolo di costruzione Papetti, ma con lama dal
punzone ancora sconosciuto.
Fig.14 -
Bellissimo Valle Brembana con lama a strati (damasco), manico in legno di
pistacchio,
molto fedele nella linea ai modelli tradizionali, opera di
Luca Pizzi.
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