IL FOLLETTO OROBICO

Luogo: Bergamasca
Analogie: In tutta la Padania e nel continente Europeo
Narratore:
Mirko Trabucchi
Le fotografie, le didascalie e le riproduzioni dei Folletti Orobici
sono state gentilmente eseguite e concesse da Alessandro e Alberto Vismara,
amici, appassionati ed instancabili indagatori del Piccolo Popolo Orobico! Un grazie non basta!


I Folletti sono diffusi in tutto il mondo Celtico e non, queste creature fatate racchiudono caratteristiche comuni in ogni tradizione. Popolano la nostra “terra di mezzo” dalla notte dei tempi, da quando l’uomo si trovava in un intimo rapporto con la natura ed i suoi cicli, da cui traeva un proprio quadro esistenziale e ne assaporava i segreti e misteri. Il popolo dei Celti Orobi, di cui siamo eredi, ha sicuramente contribuito alla conservazione di questo rapporto attraverso il mondo rurale, il quale rappresenta in maniera più marcata l’anello di congiunzione con il nostro passato.

Molte sono le leggende e gli avvistamenti nella nostra provincia, ed innumerevoli i nomi attribuitigli come: Sgranf, Farfarèl, Folet, Ana Sösana, Mata Sösana, Gata Carogna, Gambastorta, Zöbia, Zöbiana, Squàsc, Fuì, Quacio.

Gli avvistamenti di questi esserini, grandi poco più di uno scoiattolo, ricalcano sempre due differenti figurazioni: la prima è quella per lo più indotta dalla Chiesa, che ammise l’esistenza di queste creature facendole però rientrare in un pantheon demoniaco, in cui sono confluiti innumerevoli esseri fatati. Sono descritti come dall’aspetto sgradevole, rossi e pelosi, dal viso allungato e malizioso con occhi luminosi come la brace, e ciò ricorda l’immagine tipica del diavolo. Il clero infatti diffuse la credenza che fossero l’esito dell’unione fra quelle donne che si recavano di nascosto a balli notturni ed il demonio, che molto spesso presiedeva tali raduni sotto sembianze umane pur conservando i piedi caprini; la figurazione più antica e accreditata invece, li vede dalle sembianze antropomorfe: come dei piccoli ometti dal cappello a punta e mantello scuro.


Il Fuì disegnato da Trabucchi Mirko

Le caratteristiche dei Folletti sono molto ben definite. Sono permalosi ed abili nel nascondersi, sono in grado di trasformarsi in animali e decidono di rendersi visibili solo a quelle persone dotate di una particolare sensibilità. Molte volte decidono di stanziarsi in un’abitazione, e di infestarla con le loro burle. Sono infatti anche molto dispettosi, a volte si divertono a nascondere i nostri oggetti, fanno scricchiolare i mobili, tintinnare i vetri, arruffano i gomitoli di lana alle casalinghe e durante la notte disturbano il sonno tirando le coperte ai malcapitati. Talvolta si accaniscono sui bambini in fasce, verso i quali provano un’incontrollata gelosia e si dilettano a stuzzicarli e a farli piangere tutta la notte, solleticandoli, tirandogli le orecchie ed il nasino. L’unico metodo per evitare tali situazioni è quello di porre vicino alla porta un vaso da notte, un metodo di dissuasione infallibile. A Lallio si sono visti scagliare pietre, arte in cui sembra siano abilissimi, si divertono a colpire viandanti e contadini che chiamano questi Folletti “Fuì” o “Foeci”. Molto spesso si divertono ad alzare la gonna alle ragazze nei luoghi pubblici, fingendosi una folata di vento, per poi allontanarsi ridendo. Altre vittime predilette delle loro bravate sono i contadini, ai quali rompono gli attrezzi da lavoro o ne infastidiscono le bestie. Ma in molti casi, nonostante queste birichinate, sono molto servizievoli e aiutano gli uomini nel faticoso lavoro dei campi, nei vigneti e nelle malghe ed accudiscono i loro animali curandone il manto. Tutto questo solo in cambio di un po’ di minestra o latte. È capitato che si trovassero le criniere dei cavalli legate in trecce (questo si racconta in particolare nelle zone dei “Mégn”, ossia l’area che comprende i paesi ai piedi della Valle Imagna e Brembana); i contadini spaventati, considerando probabilmente queste treccine un cattivo presagio, correvano dal Curato il quale consigliava loro di munirsi di immagini di Sant’Antonio Abate da porre a difesa delle stalle e di prodigarsi nel far benedire il bestiame. A questo punto il Folletto si sarebbe però vendicato, con scherzi ancora più pesanti. Così accade in  una testimonianza pervenutaci, che ha luogo nella Val Taleggio degli anni ‘80. Durante una passeggiata, un uomo notò che le criniere dei cavalli di un casolare erano raccolte in splendide trecce ben fatte. Domandò incuriosito alla padrona chi avesse legato così bene i crini e questa si arrabbiò cercando di evitare il discorso, e disse solo: “ol Folet” e borbottò stizzita che aveva chiamato il prete per far benedire la stalla.

Gambastorta (Grumello del Monte / Lago di Varese)


Gambastorta
Il suo nome prende origine dal suo andamento sbilenco
si diletta a nascondere oggetti alle giovani donne
e di notte agita sui tetti catene, spostando le tegole.

Un Folletto che popola abbondantemente le terre orobiche è sicuramente il Gambastorta, particolarmente attivo a Grumello del Monte. Il suo aspetto ricalca le classiche rappresentazioni delle sua specie: è minuto con un corpo tozzo e peloso, gli occhi piccoli, maliziosi e rossastri si trovano incavati in un viso rugoso, mentre il nome è dovuto alla sua tipica andatura sbilenca. Il suo passatempo preferito è quello di nascondere gli oggetti alle giovani donne e se queste si arrabbiano, si sente ridere a squarciagola il Folletto mentre fugge soddisfatto. Se invece la malcapitata fa finta di niente, il Folletto rassegnato ripone l’oggetto sottratto al suo posto. Durante la notte invece si diverte a far tintinnare i vetri delle case, a togliere le coperte e a fare il solletico, talvolta lo si sente agitare delle catene sui tetti arrivando perfino a spostare le tegole. Fra i suoi innumerevoli pasticci lo si trova anche a legare tra loro le code delle vacche o le stringhe delle scarpe e a tagliare la cinta dei calzoni ai contadini, lasciandoli così in mutande.

Il Gambastorta si trova diffuso anche nella zona del lago di Varese, e anche in questo caso viene descritto come un folletto particolarmente pestifero che ama nascondere gli oggetti agli esseri umani. Per poterli ritrovare, la tradizione vuole che si debba prendere un filo, ci si facciano tre nodini e lo si riponga in un cassetto buio. Questo metodo annulla il potere del folletto che si sente così messo in castigo. Il folletto non ama questa punizione e fa capire all'essere umano di liberarlo che gli farà ritrovare gli oggetti nascosti. A questo punto basta rompere il filo e gli oggetti scomparsi magicamente verranno ritrovati al loro posto.  



Ana Sösana, Ana Mata o Mata Sösana (Val San Martino & Isola / Valle Seriana)


Ana Sosana
Di lui si sa che usa gettare nel cibo sassi e altri strani oggetti,
i pastori usano una filastrocca che pronunciata evita questi spiacevoli inconvenienti.
“Se te olet mia i plok te ghe mia de butaa”. Un po’ di cibo per lui e il gioco è fatto.

Altro diffusissimo Folletto, conosciuto anche nella provincia di Brescia, è l’Ana Sösana, Ana Mata o Mata Sösana. Di lui sappiamo che era solito nascondersi nelle cappe dei camini, si divertiva a gettare rametti, sassolini, foglie secche e “ricordini” mentre la pentola con la minestra o la polenta era sul fuoco.

Nota: Mi sento di annotare, come emerso da recenti studi personali, che questa figura pare fosse  un’antica divinità tutelare di origine indoeuropea chiamata “Ana” diffusa anche nel nord della Spagna e Francia, e che strumentalmente è stata fatta confluire nel pantheon degli spiriti folletti. Pare che il suo culto fosse ancora attivo durante il medioevo e fosse operato da gruppi di donne che spesso operavano durante la notte e che le portarono dinnanzi ai tribunali dell’Inquisizione con l’accusa di essere streghe e partecipare ai Sabba.


Berbéch, Malasén & Sblesén (Gavarno di Nembro / Val Seriana)


Berbèch
Deve il suo nome alla barba che ricorda quella “del becco”.
Pigro pantofolaio vive nelle soffitte di vecchie case;
si scatena solo poche volte quando Sblesen e Malasen si uniscono a lui.
 


Malasén
Sicuramente il suo nome prende origine dal termine malessere.
Assiduo frequentatore di osterie e luoghi malfamati,
si prende spesso cura degli ubriachi che non ritrovano la via di casa.
È diffuso nella provincia bergamasca.


Sblesén
Permaloso ed irascibile folletto che odia la menzogna
e quando ne sente l’odore… accarezza la lama della sua sciabola.

Un po’ più originale risulta essere il Berbéch, che con i suoi due inseparabili compari Malasén e Sblesén, ne combina di tutti i colori. Sembra che questi Folletti abbiano scelto come loro dimora Gavarno in Val Seriana e siano Folletti silvani, cioè che vivono sugli alberi.


Sgranf (Bergamasca)


Sgranf
È il folletto dalle abitudini licenziose.
Adora spiare le ragazze mentre si fanno il bagno o si spogliano.
È anche un amico fedele della persona che maggiormente colpisce
avvisandola in caso di pericolo imminente.

Di matrice indubbiamente diversa risulta essere il folletto Sgranf, che oltre a combinare scherzi di ogni tipo (come ad esempio rovesciare il padellino del latte), abbia la strana caratteristica di avere costumi libertini e un po’ frivoli. In bergamasco il termine "sgranf" significa "crampo", ma in questo caso l'associazione con il nome della nostra creatura è totalmente improbabile, si tende così in modo più attendibile a far risalire il suo nome ad un altro termine bergamasco, a "sgrafe" che significa "grinfie", infatti il verbo "sgrafà" significa "graffiare", caratteristica fisica che denoterebbe i suoi arti. In Valtellina infatti uno dei nomignoli che viene dato al diavolo è "Sgriful", termine che denoterebbe dalla stessa caratteristica.

Voyeur impertinente, lo Sgranf ama spiare le belle donne nei loro momenti intimi. Molto spesso, sfruttando le sue minute dimensioni, si raggomitola su se stesso e si nasconde sotto le gonne per guardare le gambe delle ignare malcapitate e se è irritato rompe loro le calze e le graffia. Altre volte, per spiare ancor meglio le ragazze, si trasforma in un piccolo gomitolo di lana e si fa raccogliere e nascondere nel seno. Solo allora si lascia andare a gemiti ed è facile sentirlo sghignazzare per il piacere. Altre volte se ne approfitta del buio e del sonno delle ragazze attraenti, per entrare nei letti e palpeggiarle. Se si innamora di una ragazza, diventa molto geloso, e a volte sposta gli abiti dell’“amata” da una stanza all’altra insinuando sospetti e creando cupe situazioni.

Squass, Squàs, Squàsc o Quagg (Clusone / Fiorano al Serio / Bresciano)


Squass
È un simpatico personaggio che a causa della sua singolare abitudine
si mette spesso in situazioni tragico comiche:
non sa resistere e in ogni buco che vede ci deve ficcar la testa.

Nel paese di Clusone in alta Val Seriana troviamo un Folletto locale molto pestifero. Il suo nome è Squass, il cui passatempo preferito è quello di appostarsi a cavalcioni dei tronchi tagliati e ridere a crepapelle degli uomini ubriachi che facevano rientro a casa il lunedì sera dopo essere stati al mercato lungo la strada di Senda.


I Folletti della Valle Imagna (Berbenno / Valle Imagna)

In Valle Imagna, ancora oggi si narra che un tempo l’intera vallata era preda delle scorribande di una folta schiera di folletti, che attraverso le correnti ventose si spostava di paese in paese seminando scherzi di cattivo gusto, terrorizzando gli abitanti e le bestie. Sembra che il paese prediletto da queste piccole creature fosse Berbenno. I parroci della valle adottarono innumerevoli metodi di dissuasione: benedizioni, messe, processioni straordinarie; ma nulla valse a fermarli. I valligiani addirittura optarono per i metodi tradizionali della caccia, posizionando reti nelle vicinanze dei cimiteri, credute dimore notturne dei folletti, ma anche questo metodo fu vano. Queste trappole non fecero altro che rendere queste creature ancora più dispettose che per tutta risposta devastavano stalle e pollai. Solo una cosa riusciva a spaventarli a morte: il suono delle campane, che li costringeva a rifugiarsi negli impervi dirupi del monte Resegone. E fu proprio durante la settimana santa che i folletti, consci del fatto che le campane erano in silenzio per celebrare la passione di Cristo (quando “vé ligade i campane”), decisero di radunarsi attorno al campanile della chiesa di Berbenno. Durante la celebrazione serale del venerdì santo, il sagrestano ebbe un’idea bizzarra che si rilevò efficace. Approfittando del festoso raduno di folletti attorno al campanile accorse alle corde delle campane ed in piena funzione religiosa si mise a suonarle con tutta l'energia che possedeva pensando che tale “sorpresa” li avrebbe spaventati a dovere spostando le loro burle altrove, e così fu, tra lo stupore indignato dei fedeli, che i folletti abbandonarono la valle definitivamente.

Il Folletto di Colle Aperto (Bergamo Alta)

Molto interessante è questa storia narrata e scritta da padre Donato Calvi nella sua opera “Effimeridi sagroprofana di quanto sia successo in Bergamo, sua Diocese et Territorio” del 1676. Il frate racconta che tra marzo e maggio del 1670, il capitano Francesco Tronti, accompagnato da una servetta tredicenne di Rovereto di nome Caterina Agostini, soggiornò a Colle Aperto per far visita al figlio che era aiutante di piazza (ruolo militare) nella città di Bergamo. Durante tutto il soggiorno la servetta fu vittima delle lusinghe di un focoso folletto, che lei accolse divertita. Il folletto amava mostrarsi sotto diverse sembianze: cavaliere, mendicante, vecchietta,  servo affascinante, gatto o cane. Il folletto si stanziò in casa Tronti dilettandosi a nascondere gli oggetti, manifestandosi tra le mura domestiche, cucinando e sottraendo oggetti preziosi alla padrona di casa per farne dono all’amata. Il folletto cominciò a diventare assillante, geloso ed arrogante e minacciava l’incolumità della famiglia Tronti, picchiando, ferendo ed aggredendo i familiari. Il Capitano fu costretto a licenziare Caterina e a rimandarla a Rovereto dal padre per porre fine alle follie del piccolo essere. Con la ragazza scomparve così anche il suo spasimante.

Il Folletto Femmina (Bergamo)

Sempre padre Donato Calvi nelle sue Effimeridi narra che nella città di Bergamo un certo Serafino, un ragazzino di quindici anni, fu corteggiato per diverso tempo da un folletto femmina. La creatura si mostrava ai suoi occhi nelle sembianze di un instancabile servitore: gli puliva il cappello, gli lustrava le scarpe e soddisfaceva tutti i suoi desideri. Il folletto lo seguiva ovunque, tranne che in chiesa. Capitò che si facesse prendere da impeti di gelosia, e una volta schiaffeggiò l’amato perché aveva salutato una coetanea. La strana convivenza durò per circa 5 anni sino a quando Serafino decise di farsi frate e a quel punto il folletto si rassegnò ed uscì per sempre dalla vita del giovane.


Il Folletti della Val Taleggio (Sottochiesa / Val Taleggio)

Si racconta che in alta Valle Brembana, un tale di Olda si recò a Sottochiesa per motivi di lavoro. La sera sulla via del ritorno, mentre stava attraversando il ponte di Sottochiesa, udì il pianto di un bambino provenire da sotto il ponte. L’uomo si precipitò a soccorrere il bimbo ancora in fasce. Pensò che si trattasse di un abbandono, lo prese e lo portò a casa. Durante il tragitto il bimbo si faceva sempre più pesante finché il pover’uomo cadde stremato. A quel punto si accorse che il bimbo che stava portando si era trasformato all’improvviso in un folletto rosso e ghignante che gli rubò le scarpe e scomparì, costringendo l’uomo a tornarsene a casa a piedi nudi. Una leggenda analoga sempre ambientata a Sottochiesa, racconta di un uomo che una sera, sulla via di ritorno verso casa, trovò un ubriaco steso sulla strada. Decise allora di portarlo con sé nella sua modesta abitazione, se lo caricò in spalla e una volta a casa lo mise a letto. Durante la notte l’uomo fu svegliato da un forte baccano che proveniva dalla stanza dove stavano stagionando gli stracchini, e trovò tutti i formaggi a pezzi e sparsi per terra. Non riuscendo a spiegarsi l’accaduto cercò di svegliare l’ubriaco che aveva soccorso, ma dormiva troppo profondamente. Scese allora in cucina e non sapendo che pesci pigliare, si fece un caffé, finché non si addormentò con la testa sul tavolo. Ad un certo punto fu svegliato di nuovo da un gran chiasso che questa volta proveniva dalla cantina. Si accorse incredulo che anche lì era tutto a soqquadro, tornò allora di sopra e ritentò di svegliare l’ospite, ma questo continuava a dormire alla grossa. Tornò in cucina, quando ad un certo punto vide entrare un grosso gatto dalla porta principale che si mise a crear scompiglio, cercò allora di acchiapparlo ma questo scappò fuori dalla finestra e scomparve. A questo punto l’uomo corse spaventato dall’ubriaco, ma con stupore vide che questo non c’era più ed il suo letto era in preda alle fiamme. Finalmente fu tutto chiaro, la persona che aveva soccorso era un folletto!

Folletti della Bassa Bergamasca (Malpaga & Basella di Urgnano)

Sempre padre Donato Calvi narra nelle sue Effimeridi che negli anni che precedettero la grande pestilenza del 1629, nella zona compresa tra Malpaga e la Basella di Urgnano, si registravano innumerevoli avvistamenti di schiere di folletti che comparivano nelle prime ore del mattino nel cielo, svolazzando giocavano a palla, facevano il girotondo e giocavano a nascondino tra le nuvole sino a mezzogiorno. A volte scendevano sino a terra tra lo stupore degli abitanti. Un certo Giovanni Battista di Martinengo, un giorno si imbatté, nelle vicinanze della Basella, in una di queste creature. Il folletto lo accompagnò lungo tutta la strada innanzi qualche metro al suo cavallo, saltando, roteando e giocando. Giunti a Ghisalba, il folletto decise di sbarrare la strada all’uomo, che per poter passare, dopo qualche indugio si lanciò al galoppo, e a quel punto il folletto svanì. Dopo alcuni mesi tutti i folletti svanirono e molti di coloro che li avvistarono morirono in quello stesso anno stesso.

Set Folècc del Sacc (Santa Brigida / Val Brembana)

In Alta Val Brembana, a Santa Brigida troviamo i “Set Folècc del Sacc”, che dimorano presso la Tribulina del Sacc tutt’intorno la vecchia mulattiera che portava a Valtorta. A loro sono attribuiti sette specialità di scherzi, tutti tesi ad ostacolare il lavoro dei contadini.

Il “Quacio” l'ultimo folletto della Valle Brembana? - (Botta di Sedrina)

A Botta di Sedrina (Valle Brembana), si racconta di una famiglia che è stata protagonista delle angherie di un folletto attorno gli anni 70. Una sera, un ragazzo proveniente dal milanese, attardandosi a casa della fidanzata fu costretto a farsi ospitare per la notte. Il suocero, mentre lo accompagnava nella sua stanza, lo rassicurò dicendogli di andare a letto tranquillo, di dormire e di non avere nessun pensiero. Il ragazzo tra sé e sé pensava dubbioso alla stranezza di queste raccomandazioni. Ma durante la notte venne svegliato da un rumore e vide un ometto dalle sembianze umane sul comò, alto circa 30 centimetri che rideva come un matto. Il giovane pensava di sognare, o di essere ubriaco, accese la luce e l’ometto sparì, la spense ed eccolo ricomparire in piedi sul comò, sempre sghignazzante. Allora il ragazzo si alzò di scatto e gli intimò di smetterla altrimenti gli avrebbe tirato un pugno. Il giovane gridava, anche per convincersi di essere sveglio, ma l’ometto continuò e non lo lasciò dormire per tutta la notte. Al mattino, il suocero gli domanda cosa sia successo quella notte, avendolo sentito sbraitare tutto il tempo! Il ragazzo gli raccontò tutto e scoprì che il suocero era al corrente dell’esistenza dell’ometto, è che questo era in realtà il “Quacio”, un folletto, e che solo lui, su tutta la famiglia, riusciva a vederlo. L’apparizione del Quacio non si limita a quest’episodio. Compariva regolarmente e sempre per fare dispetti. La famiglia era ormai abituata alla convivenza con questo folletto. Fecero benedire diverse volte la casa, ma il Quacio non se ne volle mai andare! Quando il suocero fu costretto a letto ormai vecchio e malato, i parenti assistettero più volte al formarsi sulle coperte di piccole impronte che avanzavano verso il suo volto e vedevano la barba del malato tirata da un’entità invisibile, entità che il vecchio di casa vedeva e rimproverava dicendogli “Quacio smettila! Quacio basta!” queste parole forse riecheggiano ancor oggi tra quelle mura…

Questa breve ricerca è da intendersi come una pagina aperta sull’argomento, in quanto esorto tutti i lettori ad interessarsi ed a raccogliere più informazioni possibili per ricomporre in maniera più minuziosa il pantheon del Piccolo Popolo Orobico.

Vi ringrazio sin da ora per la gentile collaborazione … An Sa Et!

 

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