La dòna del zöch
Luogo: Valli Bergamasche, Valcava,
Clusone, Bedulita, Costa Serina, Sedrina
Analogie: In tutta la Padania Alpina
Narratore: Tratta dal libro "Leggende Bergamasche" di Carlo Traini
Prima di lasciarvi leggere queste leggende
vale la pena di rammentare che "La Signora del Gioco" veniva spesso nominata
dalle presunte streghe Alpino-Padane durante i processi per stregoneria, le
quali affermavano di esserne seguaci, sembra che questa entità fosse un
retaggio del culto agreste femminile di Diana, ancora attivo durante il
basso medioevo.
Il bellissimo disegno di Sara
Gregis, copertina del libro "Leggende Bergamasche illustrate"
che rappresenta la Dòna del Zöch
Abbastanza buffa è la leggenda della dòna del zöch
(donna del giuoco), conosciuta, con lievi differenze di particolari, in
tutti i paesi delle nostre valli.
Si tratterebbe d’una specie d’innocuo fantasma notturno di sesso femminile
che, sotto vesti di contadina, si mostrava in atto di lavare vicino a una
fontana o a qualche ruscello. Per altri, lo stesso spettro era visibile
anche lungo le siepi delle stradette solitarie o sotto gli alberi, in aperta
campagna: ma il curioso si è che, per alcuni, aveva la facoltà di
allungarsi, in breve tempo, fino a raggiungere cospicue dimensioni
verticali.
Si potrebbe domandare se il nome del fantasma derivi
dallo scherzo di questo allungamento o dai giuochi d’ombra al chiaro di luna
o dal fatto che esso spaventava i nottambuli che rincasavano tardi dalle
case di giouco.
Più probabile è l’opinione del Belotti che lo farebbe
derivare da un’alterazione del vocabolo bergamasco löch (luogo)
mutatosi in döch che, nella parlata della bassa e media valle del
Brembo, significa luogo o giouco, da cui zöch (giuoco)
sinonimo meno rozzo e più comunemente usato di döch. Quindi dòna
del zöch, in origine, non avrebbe significato altro che donna o
signora del luogo. A proposito di essa io non posso astenermi dal
citare un ricordo personale della mia infanzia. Un vecchietto, un po’ avaro
ma anche assai povero, si era accorto che qualcuno gli rubava le pere (di
qualità veramente pregiata e delle quali egli aveva il monopolio in paese e
dintorni) che cadevano nottetempo da un secolare piantone del suo prato poco
discosto dall’abitato. Volendo scoprire il ladro, si alzava qualche volta
prima dell’alba a sorvegliare quell’albero delle Esperidi.
E una mattina:
“Tò - disse fra sé - finalmente l’ho colto!” da una certa distanza aveva
scorto qualche cosa che si muoveva ai piedi dell’albero. Fermatosi sui due
piedi, gli parve di distinguere una donna piccola piccola che, così tra il
lusco e il brusco, credette di riconoscere, tantoché gli gridò, vivamente
risentito: “Ah, Marietta, siete dunque voi che rubate le mie pere?”.
E quasi non osava avvicinarsi di più, tanto era
mortificato d’aver còlto in flagrante una donna ritenuta tanto dabbene. Ma
intanto la Marietta cresceva più rapidamente di statura che in pochi istanti
toccò col capo la chioma dell’altissimo pero.
Altro che Marietta! Il vecchio stralunò gli occhi,
credendo di sognare; poi, indietro a gambe, come glielo consentivano il
fardello degli anni e le forze indebolite. La stessa mattina, appena io fui
in strada, il primo compagno che incontro mi dice: “hai sentito che cosa è
accaduto al Molo (era il nomignolo del vecchio) questa notte?” . E mi
raccontò ciò che io ho raccontato al lettore, aggiungendo che il poveretto
era ammalato (di paura, s’intende!); e avevano chiamato il medico. Però, due
o tre giorni dopo, io lo rividi bell’e guarito. Le sue pere, per tutto
quell’autunno, furono più rispettate che mai!...
Per i vecchi di Valcava (l’apestre paesello a 1400 metri
sul mare, ben conosciuto dai turisti lombardi anche per la sua ardita
funivia, la prima in Lombardia) la “donna del giuoco” sarebbe un grande
fantasma dalla fattezze e dagli indumenti femminili che, agitandosi e
imprecando come una virago bettoliera, con un piede sul monte Tesoro e
l’altro su Pralongone, giuoca con la luna e con le stelle, una partita dopo
l’altra, fino all’alba.
Il Volpi, nell’opera citata, definisce in generale il
fantasma leggendario della “donna del giuoco” una gigantesca strega che
attende, nella tarda notte, sulle strade deserte, i giuocatori e i
nottambuli e li fa vittime di molte persecuzioni. Difatti, si dice a Clusone
che la dòna del zöch era solita attendere, nei luoghi più solitari e
bui, tali individui e li spaventava con le più terrificanti trasformazioni.
Avvolta in un bianco velo, ingrandiva man mano che il viandante si
avvicinava, fino a costringerla a passare sotto le sue lunghissime gambe che
divaricava appoggiandole ai due lati della strada. Altre volte emetteva
grida beffarde a scoteva furiosamente un secchio colmo di monete.
A Bedulita, la dòna del zöch appariva nella valle
dei Catoi, sul confine con Capizzone. Piccina, piccina, nelle prime ore
della sera, diventava sempre più alta e gigantesca con l’avanzare della
notte.
A Costa Serina era una che andava in giro filando la
rocca. A Serina era una lavandaia presso la fontana, la quale domandava ai
passanti dopo una certa ora di notte: “Per chi éla la nòcc?” (per chi
è la notte?). Bisognava rispondere: “Per mé, per tè e per chèi che pöl
miga ‘ndà ‘ntùren del dé” (Per me, per te e per quelli che non possono
andare in giro di giorno). A chi non sapeva la risposta, essa gettava in
viso i panni che stava lavando, con tanta violenza che il disgraziato cadeva
a terra tramortito.
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