SAMADUR
Intervista raccolta da Trabucchi Mirko 23 giugno 2011

I “Samadur” sono una delle realtà musicali Orobiche più longeve e serie, il cui percorso di ricerca musicale, strumentale e storico parte da molto lontano, con esattezza nel 1991 per volontà dello studioso e appassionato di cultura Bergamasca Piergiorgio Mazzocchi. Una realtà che si accinge a tagliare il traguardo dei vent’anni di attività. È quindi con immenso piacere che abbiamo avuto modo “de fà dò bàle” con Piergiorgio e Carlo e tributare un giusto omaggio a questi musicisti che hanno ricamato l’Identità Orobica sullo stendardo del recupero e della salvaguardia delle Nostre Tradizioni.


I Samadur: Piergiorgio Mazzocchi (sx) e Carlo Musitelli (dx)


1 - Hùela Piergiorgio e Carlo! Vi diamo un caloroso benvenuto sulle pagine del nuovo sito di Tèra Orobica! Innanzitutto per chi ancora non vi conosce, potete introdurre ai lettori la vostra realtà musicale, come si compone la formazione ? Quali sono i progetti futuri dei Samadur e quando un nuovo CD?

Giorgio Mazzocchi: I Samadur partono da ben più lontano, sono la sintesi di un percorso che ho cominciato quando ero al ginnasio liceo di ricerca sul territorio. Le mie prime ricerche risalgono a delle registrazioni che avevo fatto nel 1969, 1970 e 1971, partendo proprio dal mio paese Villa d’Almè, dalle persone anziane che avevo nel mio cortile o vicino a casa mia, rendendomi conto che c’era un patrimonio notevole dove si cantavano ancora canzoni che avevano tranquillamente 300 o 400 anni, ed inoltre avevo letto che Béla Bartók molti decenni prima aveva fatto la stessa cosa in Ungheria, allora mi sono detto perché non devo farlo anche io sul mio territorio?. I Samadur arrivano nel 1991 ma avendo alle spalle un patrimonio di cassette e cassette di registrazioni, e oltretutto vi erano anche degli strumenti ritrovati come il flauto della Valle Imagna e i Tarlèk e altri strumenti, quindi i Samadur sono una sintesi che ha avuto modo di nascere su invito di Roberto Gritti, fondatore degli Zanni, che aveva suggerito a me, il Grisolia con sua moglie e il Ghezzi di create un gruppo a parte a cui poi si è aggiunto, tramite delle conoscenze nel mondo dell’antiquariato, sì antiquariato perché raccoglievo oggetti antichi… notizie sulla cucina, sul modo di viaggiare, sul modo di costruire attrezzi, su tutto quello che riguardava la nostra Orobicità, ho conosciuto il Piero di Dossena, dal quale avevo comprato uno strumento che poi ho catalogato, anche il Gritti lo aveva disegnato,  essendone rimasto entusiasta, e che ora è conservato in un museo… nda. Con il Piero abbiamo iniziato anche a registrare il materiale del repertorio di Dossena che è veramente notevole, e poi si era aggiunto anche il Franco suo fratello ed eravamo arrivati in sette, avevamo messo insieme una bella realtà. Il debutto è stato al Festival di Lautenbach nel 1991 o 1992, in quanto c’era stato un gemellaggio con il Festival di Suisio ed eravamo andati a suonare e da li siamo andati un po’ dappertutto, anche all’estero, poi come spesso succede il gruppo iniziale si è un po’ sciolto ma io ho voluto tener duro ed è entrato il Carlo Musitelli, e successivamente altri elementi, il Marco Cefis, suo fratello e ol Carlì e da qui è nata questa situazione musicale. La nostra filosofia di gruppo è quella di rimanere nella tradizione, essere dei Portatori di Tradizione non dei revivalisti o dei folkettari, e quindi abbiamo sempre cercato di mantenere anche lo stile nel canto. Abbiamo fatto un CD ma visto l’esito, in quanto devo ancora rientrare nelle spese, un altro CD per adesso non è in programma. Il nostro intento ora è quello di rifare tutto il nostro repertorio musicale che ho raccolto, senza prendere canzoni copiate da altri repertori.


Samadur - Bèrghem e 'l Nèdal - CD

2 - I Samadur sono un gruppo di Baghèter che vivono la tradizione in prima persona. Partendo da questo presupposto è difficile definire un percorso in cui vita, passione e ricerca si sono miscelati ad arte. Potete tracciare i vostri campi d’interesse in ambito musicale, riferimenti, metodo e tutto ciò che compone il vostro patrimonio interiore? Quando vi esibite indossate dei costumi tradizionali, puoi descriverceli?

Giorgio Mazzocchi: Gli abiti che abbiamo adottato non li abbiamo presi a caso, li abbiamo presi perché sono ancora portarti e vissuti da una categoria di persone delle nostre valli, i pastori. L’ho preso per non inventarmi dei costumi di sana pianta come qualcuno ha fatto nel bene o nel male, anche con buoni risultati per carità! Ma siccome per me l’unico costume tradizionale è quello di Parre non potevo andarlo a copiare, anche se sarei rimasto filologicamente nel giusto, ho deciso di adottare quello dei pastori perché è altrettanto antico e caratteristico, ma soprattutto perché è ancora portato, magari non interamente, ma è ancora vivo, tanto è vero che c’è un’azienda, ol Feder di Sovere, che li rifà e li porta un po’ dappertutto e sta avendo anche un discreto successo. Un genere musicale particolare non ce l’abbiamo, noi seguiamo la nostra musica tradizionale del territorio: dai campanari, ai fisarmonicisti, o da gente che canticchiava delle monfrine o delle danze, ma non è che ci siano dei generi all’interno della musica tradizionale bergamasca, c’è la musica tradizionale bergamasca.

Carlo Musitelli: Volevo fare una precisazione su ciò che diceva Giorgio prima sull’abbigliamento dei pastori, c’è da puntualizzare: i Pastori dell’arco Alpino, e non come viene genericamente pensato il vestito che qualche suonatore si inventa soprattutto nel periodo natalizio con imbottiture di giubbini strappate e fatte a mo di velli di pecora o strisce strane vestite sulle gambe e scarpe strane non della nostra era. Il nostro è un abito di pastori tradizionale dell’arco Alpino, la nostra zona di competenza. Siamo orgogliosi di questa cosa, in quanto la maggior parte di suona questo tipo di strumento cerca di mettere un abito che secondo lui può essere tradizionale ma che è frutto di una cultura che ci passa la televisione o di luoghi comuni, e il pastore quindi deve avere il pelo della pecora addosso o un cappello più che richiamare la nostra tradizione richiama quella Abruzzese o dell’Oktoberfest, elementi raffazzonati che magari sono fatti in buona fede ma lontani dalla tradizioni. Dal punto di vista musicale ho conosciuto Giorgio nel 1998 quando gli altri elementi erano già usciti e sono arrivato in maniera un po’ casuale. Io suono la tromba nella banda del paese ed era da un bel po’ di tempo che mi volevo avvicinare al mondo delle cornamuse in genere e non sapevo che esisteva la cornamusa bergamasca perché in quel periodo, nonostante il Baghèt fosse stato ritrovato e l’inizio delle ricostruzioni era iniziata ormai da quindici anni, anche a livello musicale girando per i paesi o nelle bande non c’era ancora una traccia visibile di questo strumento, ero ignaro della cosa e volevo avvicinarmi al mondo delle cornamuse da “ignorante”, come tutti i musicisti mi ero rivolto ad un negozio di strumento musicale e mi avevano rifilato uno strumento che era la classica cornamusa pakistana. Allora mi misi alla ricerca di uno strumento, non c’era internet, presi carta e penna e scrissi all’Associazione Culturale Terra Insubre per sapere qualcosa di più di questa associazione che avevo sentito tramite radio sapendo che si interessavano di questo tipo di culture ed essa aveva girato il mio contatto a Giorgio che mi chiamò per telefono, ci eravamo conosciuti così fortuitamente io di San Pellegrino e lui di Villa D’Almè, da lì abbiamo cominciato a frequentarci abbiamo fatto le prime uscite in due, in quanto in quel periodo il gruppo era composto solo da noi. Siamo partiti a fare delle suonate nel dopo mangiato, io avendo suonato nella banda ho un’impostazione di tipo classico avendo studiato con professori che suonano alla Scala e alla RAI, però dal punto di vista della musica tradizionale del Baghèt ho sempre preferito avvicinarmi nella maniera tradizionale, ossia ascoltando e ripetendo i brani usando il tramandare le conoscenze della musica popolare, ossia non scrivere libri ma un rapporto diretto di chi conosce e chi vuole imparare perché quando si passa una musica su un pezzo di carta la si cristallizza e se vai fuor quella linea fai qualcosa di diverso, se invece la apprendi oralmente da una persona all’altra, si fa sì che da un brano ne possa nascere un altro e variazioni ed ispirazioni per nuove suonate proprio come avviene per il nostro gruppo, che non è quello di riproporre ma anche di proporre nuove melodie fatte in chiave tradizionale in questo ambito qua suonando anche la cornamusa scozzese nella quale mi sono specializzato un po’ traendo nuove conoscenze che tornano utili anche per il Baghèt, che al contrario di quanto si pensi, ossia che suonando un altro strumento si può creare confusione invece da uno strumento simile si possono trasferire quelle conoscenze e ricostruire quelle tecniche che nel Baghèt sono andate perdute per varie ragioni, un altro tipo di lavoro è quello di recuperare quello che è restato.


Hevia con Piegiorgio Mazzocchi
 

3 - Avete mai composto dei brani originali?

Giorgio Mazzocchi: Sì abbiamo cominciato un po’ così per scherzo, però quei 4 o 5  pezzi ci sono, anzi li abbiamo fatti trascrivere perché, io non conoscendo la scrittura musicale non la so leggerla, io li avevo in testa e li ho suonati con il flauto e fatti sentire a Carlo e lui li ha trascritti.

Carlo Musitelli: Non abbiamo molti virtuosi in bergamasca di questo strumento, c’è un livellamento medio, un tempo i Baghèter non tramandavano brani e tecniche, i giovani dovevano “rubare” le cose a quelli più esperti…

Giorgio Mazzocchi: il “Fagòt” non ha mai avuto informazioni da suo zio il “Nano Magrì”, doveva nascondersi per le scale ed ascoltarlo quando suonava in casa per preparare qualche pezzo e di nascosto lo ascoltava per imparare, lo zio non ha mai insegnato a costruire le ance al nipote e non gli ha mai spiegato nulla, il Fagòt si è trovato lo strumento in mano solo quando lo zio era morto nel 1929 e l’ha suonato per due anni fino al 1931. La tradizione di scuola invece la ritroviamo nella famiglia dei “Serì”, che se lo insegnavano di padre in figlio e si tramandavano anche la costruzione delle ance. In quegli anni i suonatori e i costruttori erano già pochi ed professionisti non ce n’erano, perché l’ultimo costruttore di Gandino avrà costruito uno o due strumenti in vita perché più nessuno sapeva costruire più un Baghèt si era persa la tradizione dei liutai. I “Serì” si tramandavano la tecnica di costruzione delle ance e nemmeno i figli o i nipoti si ricordavano se lì in paese ve ne fossero degli altri… si ricordano vagamente uno detto “ol Più” era un costruttore, ma non si sa effettivamente chi fosse, probabilmente era il nonno della moglie del nipote del vecchio Serì attuale, era vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 e quindi si è perso tutto.
 

4 - Il Baghèt è uno strumento ritornato molto alla ribalta in questi ultimi tempi, sono nate diverse associazioni e gruppi musicali atti alla tutela e riscoperta, come giudicate da ricercatori di un determinato livello questo tipo di fenomeno? Quali secondo voi gli aspetti positivi e quali quelli negativi?

Giorgio Mazzocchi: Analizziamo in primis i lati positivi: è interessante il risveglio, la voglia e la riscoperta di questo strumento che senza dubbio è un simbolo di identità Orobica e ciò è senz’altro positivo. Purtroppo abbiamo avuto un po’ di sfortuna e per spiegarmi meglio faccio sempre questo esempio: nell’85 in Asturia erano sopravvissuti 5 o 6 suonatori tradizionali, i costruttori li avevano ancora per fortuna, ma ogni costruttore aveva un suo modo per concepirli e difficilmente anche loro suonavano insieme per difficoltà a tenere gli strumenti intonati. Oggi in Asturia i suonatori sono oltre i 5000, noi abbiamo avuto da un lato la sfortuna della caduta della tradizione del costruire più che del suonare perché poi è saltato fuori che l’ultimo suonatore di Baghèt è del 1975, mentre lo strumento è stato riscoperto solo nel 1983 e si è cominciato verso il 1984 a ricostruirlo, si è iniziato in maniera lodevole dal punto di vista del recupero però dico che in tutti questi anni si poteva anche migliorare è questo non è stato fatto per tutta una serie di problemi che magari ne discuteremo in seguito…

Carlo Musitelli: Non mi sento di giudicare, ma devo dire che il lato positivo riguarda questo crescente interesse attorno allo strumento ed il recupero delle musiche, ma come accade in tutti i fenomeni di “massa” c’è chi intraprende la strada giusta e chi quella approssimativa, c’è molta variazione sul tema ma poco tema, si cerca di far passare in esibizioni pubbliche ad un pubblico non ancora istruito su questo strumento, particolari inventati o restare nel pressapochismo, come sull’argomento dei vestiti. Ribadisco che è positivo che ci sia molta gente che si avvicina, e pure noi non abbiamo la scienza infusa, siamo quindi tutti in viaggio su questa riscoperta e quindi sarebbe bene collaborare tutti come gli Asturiani, che senza divisioni, personalismi e arrivismi, si sono messi attorno un tavolo e si sono detti “ci facciamo la guerra tra di noi o salviamo il nostro strumento?” I 5000 suonatori parlano da soli, su una popolazione di 1.300.000; noi a Bergamo siamo 1.000.000! Hanno composto anche le bande di 30, 40 elementi rifondando il loro stile, lo hanno anche ricostruito imparando anche dagli scozzesi. Una cosa che loro hanno avuto è stata anche un’attenzione dal punto di vista istituzionale, come è successo in Bretagna dove ci sono incentivi per creare scuole accademiche, da noi la musica anche nelle scuole fa fatica ad essere accettata, inoltre ci si mettono le radio a trasmettere solo musica commerciale per fini d’acquisto. La vera essenza della musica è un insieme di emozioni e conoscenze, in Italia è un po’ presa superficialmente…


Hevia e Piergiorgio Mazzocchi sul palco al capodanno Celtico di Milano


5 - Avete fatto innumerevoli esibizioni live sia in Padania che in Europa, ma quasi sempre venite riscoperti solamente in particolari ricorrenze, come durante il Natale, Epifania, sagre religiose e qualche sfilata tradizionale. Vi sono molte persone e Bergamaschi che hanno visitato l’Irlanda, ed una delle atmosfere che principalmente conservano di quel viaggio è il fatto che nei pubs vi siano esibizioni spontanee di musica tradizionale molto coinvolgenti. Queste persone, una volta rientrati alla vita di tutti i giorni rimuovono questa esperienza e si vergognano nel ballare, cantare o sostenere attivamente la Nostra musica tradizionale. Secondo voi perché questo tipo di atteggiamento? Quali sono secondo voi i pregi e difetti della nostra gente in questo campo? Non sarebbe saggio e maturo che anche in Bergamasca la musica tradizionale fosse riproposta all’interno degli ambienti frequentati anche dai giovani come i pubs e live clubs?

Giorgio Mazzocchi: Sarebbe bello si! Ma il problema sono quattro lettere SIAE! Quando ho cominciato da ragazzo qui a Villa d’Almè c’erano le cantine, andavi e cantavi liberamente tutta notte, dopo ogni tanto compariva qualcuno con la fisarmonica ma il nostro strumento è la voce, è per quello che mi considero un portatore di tradizione perché ho sempre cantato sin da piccolo. Queste cose non si possono più fare in Italia, non solo a Bergamo, ma in Italia perché se arriva la SIAE ti da la multa. I gestori piuttosto che avere grane, se uno comincia a cantare vengono lì e ti dicono “Chè se cànta mia!” questo è successo, inorridite pure alle feste di matrimonio!!! È stato vietato cantare all’interno dei ristoranti!

Carlo Musitelli: A me è capitato che ero andato con lo strumento al seguito per dei miei amici che si sposavano, il ristoratore ha detto non si poteva e l’ho messo via.

Giorgio Mazzocchi: Purtroppo qui le forze politiche parlano tutte da destra a sinistra e centro, parlano tutte di identità, di riscoperta di tradizioni, posso riassumerlo in Bergamasco “ü bèl cicèmeèl!” perché nessuno ha mai fatto niente per questi discorsi, c’è una lobby o forse una loggia che ci marcia sulla nostra musica facendo un genocidio culturale, anche per incompetenza di chi deve legiferare

Carlo Musitelli: è giusto che ci sia qualcuno che tuteli i diritti di chi è autore di opere musicali ecc… non viene discussa questa cosa, è giusto che l’artista abbia il giusto riconoscimento della sua opera, qui si sta parlando di musica tradizionale la cui nascita risale alla notte dei tempi e quindi non hanno una paternità, non si capisce perché in questo senso non si sia mai fatto niente, e permettere che un determinato repertorio abbia un particolare esenzione, a distanza di anni il non accorgersi che questa cosa ha distrutto una serie di repertori locali non solo qui da noi ma su tutto il territorio. Questa organizzazione ruota attorno al denaro…

Giorgio Mazzocchi: ci restano forse solo 20 anni per salvare qualcosa poi sarà la notte totale perché non ci sarà più chi sarà “Portatore di tradizione”, la memoria delle musiche delle canzoni e delle tradizioni. Già è sparita l’abitudine del gioco della Morra, anche se si è sempre giocato lo stesso, qualche parroco si è accorto e in alcuni oratori fanno dei tornei. Però la tradizione della Mùra in Bergamasca è per il 90% distrutta, il canto resta forse il 30% della tradizione il 70% se n’è andato, vogliamo distruggere anche quello?Andiamo avanti così…
 

6 - Quali sono i momenti legati all’esistenza dei Samadur che ricordi con maggior e minor soddisfazione?

Giorgio Mazzocchi: ne ho vissuti tanti, uno dei più belli suonare in Irlanda alla festa di San Patrizio alla terza sfilata per importanza nazionale Irlandese e noi eravamo a rappresentare la provincia di Bergamo, ancora quando non c’era nessuno e avevamo introdotto un ottone, eravamo quattro Bachècc, la Tambörela, e anche gli Scozzesi erano rimasti meravigliati nel sentire il Flicorno e si erano accorti che stava bene, neanche loro avevano mai fatto questo

Carlo Musitelli: loro hanno raramente la banda al seguito perché le cornamuse suonano da sole

Giorgio Mazzocchi: un altro bel momento è l’aver raggiunto un modello di Baghèt tutto nostro, che ci è costato 6, 7 anni di ricerca su e giù tra Francia, Catalogna e Spagna e quindi essere arrivati allo strumento che abbiamo in mano.


7 - Dietro la parola “Tradizione Bergamasca” ognuno pone un po’ quello che desidera. Cosa rappresenta per voi questa parola? Quali sono secondo voi gli “antidoti” e le linee guida per una giusta salvaguardia e corretta reinterpretazione?

Giorgio Mazzocchi: La tradizione è una cosa che si muove e se non si muovesse diventerebbe un fossile, quindi è giusto che ci sia movimento dal punto di vista della musica, si evolve continuamente e l’importante è che rimanga fedele ad alcuni aspetti ed ad alcuni principi, come l’uso degli strumenti nostri, oppure lo stile del canto che varia da paese a paese, che bisogna conservarlo e riproporlo, non dobbiamo fossilizzarci!

Carlo Musitelli: è un discorso ampio, come diceva Giorgio la tradizione è una cosa che si muove, non è una cosa da mettere in un museo in bacheca, e così togliendola del mondo che viviamo, estraniandola e annullandola. La tradizione è quella cosa che cammina, che passa da esperienza a esperienza, mi reputo piuttosto fortunato perché tra i suonatori di Baghèt sono l’unico che ha avuto la possibilità, ed ora gli altri del gruppo, che hanno avuto la possibilità di avere Giorgio che ha avuto questa serie di raccolte, di testimonianza diretta sul territorio e il fatto di non conoscere la musica, che potrebbe sembrare uno svantaggio invece un grandissimo vantaggio perché lui riesce a cogliere l’essenza della musica stessa che non ha bisogno di note scritte o accordi. Se uno dei miei figli mi chiedesse di voler imparare a suonare il Baghèt cercherò di farlo come ho fatto io da Giorgio, ascoltando i brani, cercando di interpretarli e riprovandoli anziché trascriverli, io ho fatto come faceva lui, lo registravo mentre suonava e poi a casa me le riascoltavo e le rifacevo per poi riprovandole con lui, ognuno dovrebbe portare avanti ciò che gli è possibile, fare nella propria famiglia, nel proprio paese e cercare di portare avanti qualche briciola di ciò che sta scomparendo e di far conoscere ai più giovani e far sì che questa cosa prosegua e vada avanti, come ha fatto il nostro gruppo. Io ho in mente anche altri momenti che purtroppo non ci sono più che abbiamo vissuto come gruppo, dove ci si trovava in una sua cascina in Bruntino, e dopo le prove, Giorgio essendo un grande cuoco, preparava sul fuoco del camino mangiavamo e poi risuonavamo e parlavamo di queste cose come stiamo parlando ora. Sono stati dei momenti in cui c’è stato qualcosa che andava al di là della musica scritta, qualcosa di magico, per uno come me che aveva sempre imparato a suonare nella banda con libretti e fotocopie in stile se non hai la partitura non suoni, ho vissuto delle cose d’altri tempi, ma in realtà erano cose che si stavano vivendo. A chi fa musica di questo tipo mancano queste esperienze e momenti, ma non per colpa di nessuno è solo che questo rapporto di conoscenza e tramandare non c’è stato, quando vedo uno che suona il Baghèt mi augurerei che abbia vissuto quei momenti che ho vissuto io, sono stato fortunato, speriamo che il presente e il futuro ci ridia la possibilità di farlo, e se devo andare a un matrimonio non aver più paura di multe e querele.


I Samadur

8 - Hai dedicato la tua esistenza alla riscoperta del Baghèt e per questo inseparabile “compagno di viaggio” hai girato mezza Europa, come sulle tracce di una volpe, confrontandoti con altri suonatori tradizionali e approdando nelle Asturie in Spagna… puoi raccontarci a grandi linee quali sono state le tappe della ricostruzione fedele dello strumento che suonate?

Giorgio Mazzocchi: premetto che il Baghèt lo cercavo sotto un altro nome perché con il termine Baghèt non lo conoscevo, in queste zone era la Pìa e a Botta di Sedrina la Bàga. Quando avevamo visto dei vecchi suonare su a Mediglio, frazione di Sedrina, i vecchi dicevano “al sua amò cò la Bàga”, ci sono anche delle strofe in cui si parla di Bàga, comunque io non l’ho mai trovato, ero sul punto i raggiungerlo, tra l’altro avevo ritrovato i flauti della Valle Imagna i “Sivlòcc”, i “Sìoi”, sottolineo “Sìoi” perchè “Sivlì” non hanno nulla a che fare con la ricerca che ho fatto io, perché il costruttore che ho trovato li chiamava “Sìoi”  e non “Sivlì”, i “Sivlì”  sono quelli per il richiamo degli uccelli e non hanno niente a che vedere con lo strumento musicale, quindi non l’ho mai trovato il Baghèt. Come mai sono arrivato sino in Asturia, a festival di Lorient in Bretagna avevo conosciuto un costruttore Bretone di lì e gli avevo chiesto di costruirmi un chanter scozzese in bosso era il 96, 97, gira e rigira gli telefonavo e mi diceva che me lo aveva spedito ma bla bla bla… non è arrivato ecc… mi aveva preso in giro insomma… in Val D’Aosta avevo conosciuto un costruttore francese che fa parte del conservatorio Occitano, poi sono andato al festival si Saint Chartier e avevo conosciuto un costruttore Catalano e con lui ho iniziato ad intavolare un discorso di ricostruzione mostrandogli i disegni e fotografie, me lo ha ricostruito poi quando me lo ha spedito era accordato in SI naturale mentre io lo volevo in SI Bemolle e mi erano girate un po’ le scatole, ho preso su il Carlo, prima che si sposasse, e siamo partiti per la Spagna, con la diana originale del Parecia, ho tutte le fotografie del modello e delle prove e lo abbiamo ricostruito assieme in SI Bemolle, ma non ero soddisfatto ma nel frattempo avevo conosciuto dei costruttori della Galizia e anche degli Asturiani, ho preferito in accordo con il Carlo di rimanere in Asturia perché ha lo stile alto della Gaita anche perché il Gaitiero di corte è sempre stato Asturiano  ai tempi di re Alfonso. Lì avevo conosciuto un costruttore che mi aveva fatto conoscere il Mostrini, ero stato già giù da questo costruttore avevo fatto già costruire delle Gaite, ci servivano degli strumenti in DO affidabili e ce li siamo fatti fare. Partiti dalla Catalogna con questo Baghèt diciamo “modello Parecia” siamo andati su in Asturia a far rifinire alcune cose che il Catalano non era stato in grado di fare, ci hanno messo le mani due costruttori, con malavoglia perché l’Asturiano non voleva intervenire sul lavoro di un altro, ci siamo detti qui dobbiamo uscirne da sto labirinto e me lo ha modificato, abbiamo preso l’altra diana del Serì e l’abbiamo studiata, preso le misure assieme al Bicego che poi le hanno messe anche in internet e in base a quelle siamo riusciti ad arrivare al modello attuale, al quale forse faremo qualche piccola modifica, ma tutto sommato al 98% è a posto. Siamo partiti nel 2000, adesso sto cominciando anche io a farli ma sono limitato dal mio lavoro, ho cominciato a far su qualche bordone per il momento.


9 - Molto spesso sei stato invitato ad un confronto musicale e culturale con l’Asturiano Hevia, cosa ci puoi raccontare di quelle esperienze? Come è visto il nostro Baghét all’estero? Vi sono collezionisti o suonatori che lo richiedono in Italia e nel Mondo?

Giorgio Mazzocchi: Farei un passo indietro perché prima di Hevia avevo conosciuto Nunez sempre nell’ambito del Capodanno Celtico al Castello Sforzesco, li prima abbiamo conosciuto Carlos Núñez poi Hevia. Appena lo ha visto il Nunez ne era rimasto stupito, lo ha guardato interessato e fa “questo mi è sfuggito è l’antenato dei nostri” era presente anche Carlo e Ivan, poi lo ha guardato meglio, l’ha aperto ha tirato fuori la diana e ha visto l’ancia di plastica, l’ha chiuso in malo modo, che mi vengono i brividi ancora adesso, me lo ha messo in mano, come per dire “cos’è questo orrore!” Hevia è stato più fortunato perché non ci ha visti con quel Baghèt in mano, in Francia quando sono stato a Saint Chartier eravamo a tavola si stava mangiando c’erano dei Portoghesi, Galleghi, Fabio del Piemonte, ecc… c’era uno della zona delle quattro provincie con un piffero antico, e i portoghesi stavano guadando il Baghèt in SOL, ed al momento erano stupiti, arriva un francese e dice “Che cosa è?” e un altro gli dice “Un Baghèt!” ed francese “Ahhhh il Baghet è merda!!!” questa è l’impressione che hanno del nostro strumento all’estero. Al festival si Saint Chartier si ritrovano tutti i costruttori, purtroppo noi abbiamo mandato in giro questa idea, dove c’è una conoscenza più affinata e profonda da parte del pubblico l’impatto che ha avuto il nostro strumento all’estero non è stato affatto positivo.



I Samadur con Carlos Núñez

10 - So che organizzate corsi di Baghét e su prenotazione fate realizzare fedeli modelli di Baghècc dai mastri costruttori Asturiani… potete illustrare meglio queste attività?

Giorgio Mazzocchi: Abbiamo intenzione di far partire dei corsi, anche se fino adesso abbiamo preso dei sonatori e un po’ alla volta si svezzano da soli venendo alle prove, qualcuno si avvicina e magari capisce che non è il suo strumento per questo preferisco prestarglielo. Si gli strumenti li abbiamo fatti arrivare e abbiamo fornito il gruppo le Cornamuse di Franciacorta, non do via uno strumento singolo alla volta, prima bisogna trovarci e parlarne a un tavolo perché mandare in giro un pezzo per farlo copiare non ha alcun senso.

Carlo Musitelli: Non abbiamo mai organizzato dei corsi, tutto si muove sulla conoscenza personale, anche perché qualcuno si avvicina con dei Baghècc diversi dal nostro e per esperienza personale, suonando anche la cornamusa scozzese, è necessario curare anche lo stile del nostro strumento. Il problema è uno stile per essere riproposto deve essere uniforme con tutti gli strumenti che ci sono in giro invece attualmente strumenti anche costruiti dalla stessa mano non danno questa possibilità, io ho scritto anche un metodo che ho li nel computer, ma ho potuto riscontrare conoscendo altri Baghèter, che ad esempio sulle posizioni delle dita per fare una nota con uno strumento è fattibile, con tre no ecc… è chiaro che non avendo gli stessi strumenti anche provenienti dello stesso laboratorio… dovremmo prima sanare i problemi sulla costruzione e mettersi attorno a un tavolo e decidersi a salvare lo strumento e ognuno porta le proprie competenze e modi costruttivi, anche se derivano dalla copia della copia, perché si pensa che costruire e suonare il Baghèt sia una cosa facile, due tubi in un sacco e un’ancia che vibra, e lo suonano tutti. Serve passione e sapienza nella costruzione.

Giorgio Mazzocchi: Chi si avvicina al Baghèt non deve poi passare alla Musette, alla Gaita eccetera perché si rendono conto che il Baghèt è un giocattolo. Gli Asturiani apprezzano molto la musica scozzese ma suonano il loro strumento perché qui si ritorna all’identità ed alla cultura.

Carlo Musitelli: A Trigallia ad Argenta (Ferrara) erano venuti dei nostri amici Asturiani a suonare ed erano stati stupiti in negativo nel vedere tanti gruppi italiani suonare strumenti esteri, per loro era inconcepibile questa cosa! A Bergamo ci sono molti costruttori e suonatori che si avvicinano, però questi non capiscono che il Baghèt è uno strumento e non un giocattolo.

11 - Bene Piergiorgio e Carlo siamo giunti alla fine di questa chiacchierata, lasciate i contatti ai nostri lettori e a voi le ultime parole…

Giorgio Mazzocchi & Carlo Musitelli: Il nostro sito internet è www.samadur.org  lì ci sono i nostri contatti, proviamo tutti i giovedì a Villa d’Almè dalle 18.00 alle 20.00, le nostre prove sono aperte a tutti quelli che vogliono venire a trovarci ed avvicinarsi allo strumento, siamo sempre disponibili a fare due chiacchere e conoscerci, meglio ancora davanti a un buon bicchiere di vino e un buon pane a salame.

 

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