BARTOLOMEO COLLEONI
VITA DI UN GRANDE BERGAMASCO
di Elena Percivaldi -
Tratto
da Quaderni Padani n° 31 Luglio-Agosto 2001
Monumento
a Bartolomeo Colleoni. Verrocchio, 1488
Uno dei personaggi più noti dell’intera
area bergamasca è sicuramente Bartolomeo Colleoni.
Tutti anche fuori dalle terre orobiche lo hanno sentito nominare, anche se
pochi purtroppo ne conoscono la vita e le imprese, che furono davvero
notevoli. Gli stessi bergamaschi lo scelsero quasi come “eroe nazionale” e,
stando allo storico Ignazio Cantù - che lo ricorda nel volume dedicato a
Bergamo (1861) della sua celebre
Grande
illustrazione del Lombardo-Veneto
- di lui il
popolo “fece
una specie di santo, perché a pro della patria adoperò le ricchezze
acquistate colla spada”.
Ma chi fu
questo illustre personaggio che costruì un monastero alla Basella e ne
ampliò altri due a Martinengo, costruì la chiesa e le case di Romano, i
bagni sulfurei di Trescore, la roggia della Misericordia a Fara, abbellì i
castelli di Solza e di Malpaga? Era quello che volgarmente si chiama un
“mercenario”, un “capitano di ventura”. Un condottiero, cioè, che guidava
truppe di soldati al soldo delle grandi città o dei potenti Stati e signori
che si combattevano tra loro nella burrascosa Italia del XV secolo.
Come da
copione, il ruolo prevedeva anche il passaggio - facile - da una parte
all’altra, a seconda di chi offriva di più. Ed era un gioco pericoloso, a
volte fatale, che richiedeva, oltre a indubbie doti militari, anche notevole
fiuto e abilità politica. Colleoni storicamente fu in buona compagnia: Muzio
Attendolo Sforza, il Conte di Carmagnola, Giovanni Acuto sono personaggi che
contendono al valente bergamasco la palma di miglior capitano dell’epoca. Ma
se l’Attendolo può gloriarsi di aver fondato la dinastia degli Sforza (che
avrebbe comandato a lungo Milano), l’Acuto (l’inglese John Hawkwood) è
celebre per il suo essere straniero, e il Conte di Carmagnola deve la sua
fama all’omonima tragedia manzoniana, il Colleoni è passato alla storia per
il suo nome e per il suo stemma, che sfoggiava dipinti tre “cojoni”, ovvero
tre testicoli (secondo altri, tre cuori rovesciati): un potente simbolo di
fertilità che fece nascere la leggenda che egli fosse particolarmente
“dotato”. Se anche non lo era, forse, fisicamente, dotato lo fu di certo per
traslato.
Stando sempre
al Cantù, “A
Bartolomeo Colleoni attribuiscono d’aver primo usati i cannoni in campagna;
servì ai Veneziani contro i Visconti, poi ai Visconti contro i Veneziani;
ajutò Francesco Sforza ad usurpar il dominio di Milano; vendutosi di
nuovo ai Veneziani per centomila zecchini all’anno, molte giurisdizioni e
illimitate facoltà, li condusse di vittoria in vittoria, finché sul punto di
guidarli contro i Turchi, morì il 3 novembre 1475”.
Di nobile
famiglia guelfa, Bartolomeo nacque nel 1400a Solza, poco distante da Villa
d’Adda (in provincia di Bergamo), un paesino che oggi conserva un bellissimo
castello medioevale di cui purtroppo si può ammirare solo una parte. Ed era
figlio d’arte: il padre Paolo, infatti, morì nel 1406 difendendo il castello
di Trezzo dall’assalto dei ghibellini ai quali l’aveva tolto l’anno
precedente. Di carattere fiero e autoritario – come dimostra anche la
bellissima statua che Venezia fece scolpire per lui da Andrea Verrocchio, e
che ancor oggi si può ammirare nella città lagunare fu addestrato sin da
giovane alla vita militare. Ebbe come maestro il celebre capitano Braccio da
Montone e seguì il Gattamelata nelle sue campagne belliche nel centro-sud
della penisola, distinguendosi per le sue eccezionali capacità strategiche,
la sua forza e la sua inflessibile volontà (d’altra parte, “Bisogna!”
era il suo motto).
Bartolomeo Colleoni
La sua vita fu
molto avventurosa e non priva di rischi e pericoli: condottiero già al soldo
di Venezia, poi dei Visconti, fu nominato nel 1447 capo dell’esercito della
Repubblica ambrosiana, ma nel 1448 passò di nuovo con le sue truppe ai
veneziani. Sconfitto da Francesco Sforza a Caravaggio, entrò poi al suo
servizio, ma nel 1454 tornò alla Serenissima e ne ebbe il comando
dell’esercito. Dotato di grandi strategie militari, fu l’artefice di
numerose vittorie, ottenute al grido di “Cojo!
Cojo!”.
Tra gli scontri più famosi ai quali partecipò, va annoverata la celebre
battaglia della Riccardina o della Molinella, combattuta il 25 luglio 1467.
A quel tempo Colleoni serviva Venezia, e si opponeva a un altro “gigante”
dell’epoca: quel Federico da Montefeltro, duca di Urbino, alleato dei
Medici, degli Sforza, del re di Napoli e del signore di Bologna. Qui per la
prima volta si impiegarono le armi da fuoco come una moderna artiglieria da
campagna. Anzi, pare che sia proprio stato il Colleoni a inventare
artiglierie mobili costituite in modo da essere più maneggevoli e leggere di
quelle degli avversari. Un episodio che vide coinvolto anche Ercole I
d’Este, ferito a un piede, e che fu ricordato dall’Ariosto nel III canto
dell’Orlando Furioso. Colleoni è stato uno tra gli uomini più rispettati e
temuti del suo tempo, non gli fu ignota la tenerezza, sentimento che provava
per le sue otto figlie e in particolare per Ursina, che morì prematuramente
e fu sepolta a Malpaga. Oltre alle sue imprese belliche, c’è quindi di più.
Abbiamo detto delle opere che edificò, non solo per suo uso personale, ma
spesso anche a utilità della cittadinanza. Ma pochi forse sanno che alla sua
morte egli finanziò i veneziani con oltre 100mila zecchini d’oro per
combattere contro i Turchi (a questo proposito, ricordiamo che fu designato
come comandante delle truppe cristiane per una spedizione in Albania contro
Turchi e Islamici), donò soldi e oggetti sacri ai monasteri e alle chiese
orobiche e, addirittura, cercò di far scavare un canale per condurre le
acque del Brembo fino alla città alta. Inoltre, donò al Comune di Bergamo
denaro per farne dote alle fanciulle poco abbienti, e fece costruire per sé
la Cappella omonima che contiene anche i suoi resti.
La Cappella Colleoni in Città Alta
Bartolomeo
Colleoni dunque non fu solo un grande condottiero, un uomo dalla
straordinaria abilità strategica il cui braccio sapeva essere spietato e
lucido in cento battaglie. Fu anche un grande bergamasco, che amava la sua
terra e seppe ricompensarla. Benché le sue imprese di capitano di ventura lo
tenessero spesso lontano dalle sue amate valli, egli vi trascorse gli ultimi
giorni della sua esistenza spegnendosi nel suo amato castello di Malpaga nel
1475. Lasciò così nella storia
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