IL GIURAMENTO DI PONTIDA
TRA LEGGENDA E REALTA'
di di Elena Percivaldi - Tratto da
Quaderni Padani Anno lV, N. 16 - Marzo-Aprile 1998
Le nozze di Alberto da Giussano tratta dal film Barbarossa di
Renzo Martinelli
Introduzione
Ogni anno ormai è
un’abitudine per molti padani ritrovarsi insieme sul prato di Pontida per
rinnovare un giuramento che tanti secoli fa, secondo la tradizione il 7
aprile 1167, vide i rappresentanti delle città lombarde allearsi contro un
comune nemico, l’imperatore Federico Barbarossa, oppressore delle libertà
comunali. Purtroppo, a quanto sembra, quello storico terreno è stato da poco
acquistato per essere trasformato in area edificabile. Un evento a cui tutti
noi eravamo profondamente legati rischia di non poter essere più celebrato.
Di esso ci rimarrà forse solo la memoria. Cerchiamo allora di ripercorrere
la storia del giuramento di Pontida per stabilire cosa effettivamente
accadde quel giorno di primavera del lontano 1167. Le fonti del tempo non
sono chiare o addirittura tacciono, cosicché è difficile districarsi tra
realtà e leggenda. Il giuramento, indubitabilmente, ci fu. Tuttavia non
siamo sicuri del luogo dove avvenne. La tradizione ci suggerisce il nome di
Pontida. Ma la verità è ancora lontana dall’essere definitivamente
stabilita.
Perché un giuramento tra comuni?
Prima di parlare di Pontida, è forse utile fare qualche passo indietro per
vedere brevemente gli antefatti storico-politici che portarono i Comuni ad
opporsi con fermezza all’imperatore tedesco (1). Federico I Hohenstaufen,
detto il Barbarossa, discendeva dalle schiatte di Baviera e di Svevia ed era
stato messo sul trono proprio per pacificare queste due casate, da anni in
lotta per il potere. Le contese avevano in pratica causato la spaccatura
della Germania in due fazioni, la guelfa (seguace della parte Bavarese) e la
ghibellina (fautrice degli Svevi). Alla morte di Corrado III, nel 1152,
Federico era stato scelto per mettere fine a questi contrasti e riportare un
po’ di stabilità e un miglioramento all’immagine imperiale, sempre più
sbiadita. E Federico era l’uomo giusto al posto giusto: descritto da tutti
come una persona molto autoritaria, cercò da subito di rilanciare il ruolo
di un Impero che, soprattutto in Italia, stava perdendo sempre più terreno a
favore dei Comuni. Nel Nord Italia, infatti, le città non avevano mai smesso
si essere punti di riferimento economico, politico e culturale (2); grazie
alla enorme espansione economica in atto tra il X e l’XI secolo, accanto
alla tradizionale aristocrazia fondiaria che aveva la sua base nella
proprietà terriera, si erano sviluppati nuovi ceti sociali, costituiti da
mercanti, artigiani, banchieri, notai. Erano ceti ricchi e influenti
che, approfittando della lontananza dell’imperatore e delle difficoltà in
cui versava la sua autorità, iniziarono presto a rivendicare molte di quelle
funzioni di governo che spettavano al potere centrale. Le lotte per il
potere in Germania avevano favorito queste spinte autonomistiche, e i Comuni
padani erano riusciti ad esercitare di fatto (se non ancora di diritto)
molti poteri, erodendoli dall’autorità imperiale. Tra la fine dell’XI e la
prima metà del XII secolo molte città padane si erano costituite in Comuni
creando un’apposita magistratura collegiale, il consolato (3).
Alla vigilia dell’incoronazione del Barbarossa, i Comuni imponevano tasse,
esercitavano diritti di mercato, amministravano la giustizia e controllavano
le vie di comunicazione. Tra di essi, Milano aveva ben presto conquistato
l’egemonia e imponeva la sua autorità anche sulle città circostanti.
Soprattutto erano i Lodigiani, la cui città i Milanesi avevano distrutto
poco prima, a non poterne più sopportare la prepotenza. Due messi di Lodi si
recarono pertanto dal Barbarossa a Costanza e lo pregarono di intervenire
contro Milano: fu così che egli decise di scendere in Italia per
riconquistare il controllo della situazione e per riprendersi tutte quelle
regalie che i Comuni gli avevano strappato. A Roncaglia, nel 1154, proclamò
solennemente i suoi diritti, distrusse Asti, Chieri e Tortona che gli si
opponevano e si recò a Roma dove, dopo aver rimosso la magistratura comunale
approntata dall’“eretico” Arnaldo da Brescia, fu incoronato da papa Adriano
IV. Nel 1158, di nuovo a Roncaglia, assistito da quattro dottori di diritto
dello
Studium
di
Bologna, il nuovo imperatore rivendicò tutte le
regalie
che gli
spettavano, in particolare il diritto di batter moneta, di imporre tasse, di
nominare magistrati e di riscuotere i proventi delle condanne.
Soprattutto,proibì le leghe e le alleanze tra i Comuni (4). Le città che
rifiutarono questi provvedimenti furono distrutte. Milano fu assediata
nell’inverno 1161-1162 e, costretta a capitolare, fu rasa al suolo, i suoi
abitanti dispersi. Ma proprio a questo punto le stesse città che avevano
chiesto l’intervento del Barbarossa contro Milano si accorsero della gravità
della situa-zione: rischiavano di perdere tutte le proprie libertà. Dopo la
vittoria di Federico infatti, tutti i Comuni (anche quelli a lui alleati)
avrebbero dovuto restituirgli tutte le regalie - pena il pagamento di forti
somme - e sottostare alle angherie dei podestà e dei messi imperiali. Si
creò così un forte movimento di opposizione da parte dei Comuni, al quale
aderì anche il papa Alessandro III, da sempre avversario dello Svevo e ora
timoroso del suo potere. Il Barbarossa reagì deponendo il pontefice e
sostituendolo con un antipapa di sua creazione, Vittore IV, ma Alessandro,
ottenuto l’appoggio di altre potenze straniere preoccupate della forza di
Federico, si alleò coi Comuni che nel frattempo si erano stretti in varie
coalizioni. Nel 1164 i Comuni veneti avevano creato la Lega Veronese (5), e
nel 1167 alcuni di quelli lombardi avevano formato la Lega Cremonese con
l’intento di far ritornare i Milanesi nella loro città - provocando così
l’imperatore (6). Questo patto fu sancito, secondo la tradizione, il 7
aprile 1167 nel monastero di Pontida, una località del bergamasco. Le due
leghe poi si riunirono, dando vita alla formidabile
Societas
Lombardiae,
il primo dicembre dello stesso anno (7). Nove anni dopo, il 29 maggio 1176,
a Legnano, la Lega Lombarda avrebbe clamorosamente sconfitto il Barbarossa e
lo avrebbe costretto a più miti consigli.
Qualche breve nota
sul monastero
Il monastero di
Pontida fu fondato da Alberto da Prezzate, un uomo appartenente ad una ricca
famiglia lombarda di cui si hanno notizie fino al 1095, anno della sua
morte. Di lui non si a molto: dopo la sua scomparsa, la sua figura fu subito
mitizzata; l’unica biografia del tempo fu compilata alla fine del XII secolo
ma è andata perduta. Tuttavia esistono quindici documenti nell’archivio del
monastero di S.Bassiano che lo citano, e possediamo il suo sarcofago
(databile alla prima metà del XII secolo, di fattura borgognona) e una
dedica autografa di Alberto ai suoi confratelli di Pontida. Il monastero fu
fondato l’8 novembre 1076: Alberto da Prezzate donava al monastero di
S.Pietro in Cluny un terreno arativo sito in Pontida sul quale era
fabbricata una chiesa in onore della Vergine Maria, di S.Giacomo e dei Santi
Bassiano e Nicola, con case, massarici, vigne, prati, pascoli, selve, selve
di castagni, al fine di costruirvi un monastero (8). Il priorato di Pontida
all’interno dell’ordine cluniacense è accettato da Ugo di Cluny nel 1088,
anno in cui lo stesso Ugo nomina Alberto priore del monastero. Da allora, è
un continuo susseguirsi di donazioni da parte soprattutto di ricche famiglie
milanesi, che rimpinguano il patrimonio del monastero e lo rendono assai
ricco: i suoi possedimenti travalicano l’Adda e si estendono nel Bresciano,
nel Lecchese, nel Cremasco e persino nel Lodigiano. I vescovi di Lodi e
Cremona inoltre fanno dono di decime. Questa prosperità permette ai monaci
nel 1095 di consacrare, grazie all’opera del vescovo di Piacenza, la nuova
chiesa di S.Giacomo. Pontida si trova sulla strada tra Brivio e Bergamo,
un’arteria molto battuta sin dall’epoca tardo antica. Proprio grazie alla
sua collocazione geografica, questa località diventa presto un centro di
forte interesse per le famiglie milanesi, anche in virtù della sua posizione
di confine tra il contado milanese e quello bergamasco, che le dà importanza
come zona strategica. Famiglie come i Da Vicomercato, i Da Carcano e i Da
Besana fanno al monastero numerose donazioni fondiarie e contribuiscono
attivamente alla sua vita e alle sue fortune. Uno degli atti più emblematici
che testimoniano l’attenzione dei Milanesi per il monastero è costituito
dalla concessione dell’esenzione dagli oneri e dalle gravezze al convento di
S. Giacomo nel 1119 (9): per l’occasione, tutti i Milanesi si radunarono nel
vecchio teatro per sancire una azione che doveva essere soprattutto
politica, fatta allo scopo di ingraziarsi i monaci di Pontida. La manovra si
rivelò efficace: durante il periodo che precedette la distruzione di Milano
ad opera del Barbarossa, infatti, mentre molte altre città lombarde
cercarono di ostacolare il “capoluogo”, Pontida rimase ad esso fedele. Del
resto, Milano era per i monaci un centro economico molto importante, dato
che già dal 1130 essi vi possedevano una casa (cioè un avamposto per
permettere lo sfruttamento delle vie commerciali e dei mercati cittadini).
Il monastero di Pontida infine si dimostrò più volte un rifugio sicuro per i
fuoriusciti Milanesi: sembra infatti che lì morisse uno dei capi patarini
fuggito alla repressione, e che durante l’assedio di Milano, nell’inverno
1161-62, vi si rifugiasse nientemeno che Pinamonte da Vimercate, uno dei
personaggi chiave della Lega anti-Barbarossa. Tutti questi fatti sono molto
importanti: proprio la
longa manus
dei
proprietari fondiari e delle élite milanesi su Pontida e la fedeltà più
volte dimostrata a Milano dai monaci avrebbe fatto cadere la scelta del
luogo del famoso giuramento su questa quasi sconosciuta località del contado
bergamasco e l’avrebbe fatta diventare il punto di partenza del riscatto dei
Comuni contro l’imperatore tedesco.
Pontida e la Lega
tra strumentalizzazioni risorgimentali e celebrazioni nazionaliste
Durante il
Risorgimento, tutta la storia della Lega Lombarda fu esaltata dai “patrioti”
italiani come una prefigurazione e un esempio da seguire in vista della
liberazione dallo straniero: allora si trattava di battere il Barbarossa,
ora era il momento di cacciare fuori gli austriaci. Pontida divenne per
tutti il simbolo dell’unità e dell’indipendenza nazionale; poeti,
librettisti d’opera, romanzieri, musicisti, artisti di ogni genere colsero
questo ed altri episodi significativi della lotta dei Comuni contro
l’imperatore per riaccendere negli animi l’amore per la libertà. L’alfiere
di questo sentire fu senz’altro Giovanni Berchet. Nel 1829 pubblicò, nella
raccolta
Fantasie,
anche la celeberrima ballata
Il
Giuramento di Pontida.
Vi raccontava il sogno del poeta che vede, come in una visione, i
rappresentanti dei Comuni lombardi radunati sulla piana mentre si giurano
reciprocamente fedeltà e promettono di far fronte comune contro il nemico:
L’han
giurato. Gli ho visti in Pontida
Convenuti dal monte, dal piano.
L’han giurato; e si strinser la mano
Cittadini di venti città.
Oh, spettacol di gioia! I Lombardi
Son concordi, serrati a una lega.
Lo stranier al pennon ch’ella spiega
Col suo sangue la tinta darà
(10).
Al di là della retorica, questo componimento è una delle tante testimonianze
della scarsa qualità poetica dei nostri verseggiatori romantici; tuttavia,
se il risultato artistico (con buona pace di quanti, come il Mazzini, la
consideravano un capolavoro) lascia un po’ a desiderare, pienamente riuscito
fu l’intento: i versi diventarono subito popolarissimi e si diffusero un po’
ovunque. Appellarsi agli ideali di riscatto di una libertà e di
un’indipendenza calpestate era la carta vincente per infiammare gli animi
delle folle. Ecco come Giuseppe Garibaldi concluse il suo discorso, fatto ai
bergamaschi il 3 agosto 1848 allo scopo di incitarli alla rivolta contro lo
straniero:“Bergamo
sarà il Pontida della generazione presente e DIO vi condurrà a Legnano!”
(11). Qualche anno dopo, il 7 giugno 1859, l’“eroe dei due mondi” volle
visitare di persona il monastero e, forse ricordando il suo discorso
bergamasco, esclamò:
“Oh quante
volte pronunziai il nome di Pontida, rievocando la sua con altre glorie
d’Italia per infiammare gli animi de’ miei compatrioti e de’ miei volontari!”
(12).
Anche se non vedono
Pontida protagonista, si possono citare, per farsi un’idea del clima di
quegli anni, le innumerevoli opere teatrali (tra cui spicca La Battaglia di
Legnano
(13) di Giuseppe Verdi su libretto di
Salvatore Cammarano), i romanzi (come La Lega Lombarda
(14)
di Massimo D’Azeglio), le poesie (celeberrima La
Canzone di Legnano
(15)
del Carducci),
i quadri dello
stesso D’Azeglio, di Francesco Hayez e di Amos Cassioli (16). Ormai in tutte
queste rivisitazioni di storico c’era ben poco, mentre grande spazio si
lasciava all’immaginazione e all’esaltazione eroica dei personaggi che
avevano partecipato agli eventi. Pontida e la Lega Lombarda erano diventate
leggenda. Spesso e volentieri, poi, agli artisti si univano gli storici,
preoccupati di fornire solide basi alle argomentazioni unitariste e
patriottiche. Ecco un assaggio di un brano di Luigi Tosti, abate benedettino
come i monaci di Pontida, ma napoletano:
“Il dì
settimo di aprile dell’anno 1167 fu il tempo, la Badia di S. Giacomo di
Pontida il luogo destinato a’ salutari congressi. Monaci di S. Benedetto
abitavano quella famosa Badia. Fortunati Monaci, deputati dai Cieli ad
ospiti della raminga libertà d’Italia ! Essi avevano ricevuto nel V secolo
dalle mani del Romano S. Benedetto sul Monte Cassino il codice della Romana
libertà, nel XII lo restituivano alla patria nella Badia di Pontida”
(17). Onestamente, neanche il “nostro” Carlo Cattaneo seppe evitare la
retorica, anche se, da buon lombardo, le sue parole sono assai meno vuote ed
ampollose:
“Dopo che
per cinque anni (i Milanesi) ebbero sofferto i più gravi disagi, apparve un
giorno fra i loro tugurj un frate del convento di Pontida, seguito da
squadre d’armati delle vicine città. Veniva a ricondurli entro le mura e a
rialzarle. Tre anni dopo, la potenza e la perseveranza di Federico erano
finalmente domate sul campo di Legnano (...)”
(18).
L’assalto a
Crema del 1159 in cui il Barbarossa aveva fatto legare degli ostaggi alla
torre d’assalto
A unità ormai
conquistata, lentamente i motivi patriottico-risorgimentali vennero meno. Ma
alla fine del secolo stava di nuovo tirando una brutta aria. Stavano
nascendo in tutta Europa le spinte nazionaliste che avrebbero di lì a poco
condotto il continente alla “grande guerra”, all’avvento delle dittature,
del nazismo e del fascismo. Nel 1900 fu inaugurata la famosissima statua di
Alberto da Giussano a Legnano, opera di Luigi Butti. Era una sinistra
prefigurazione di quanto stava per accadere. Nel 1914 scoppia la guerra. Si
confronta la lotta di tanti secoli prima contro il Barbarossa con
“il
grandioso aggruppamento di popoli che combattono contro gli Imperi Centrali”
(19): il 7 aprile 1918, in occasione della commemorazione in onore degli
studenti caduti per la patria tenuta a Pontida, l’allora Ministro delle
Finanze Filippo Meda esclama:
“Pontida è
la volontà, Legnano l’azione: e significa che la vittoria non sorride a chi
non agisce; ma che non si agisce in modo da conseguire la vittoria se non si
sia prima voluto, fortemente voluto - giurato di volere - come i nostri
padri della Lega fecero. (...) Lo si ripeta dunque ancora una volta, e voli
l’ammaestramento dal chiostro di Pontida a tutta l’Italia: è l’ora del
cimento estremo: prepariamoci tutti con purezza di cuori, con fermezza di
animi, con fede alta e sincera nella giustizia e nel diritto; così e non
altrimenti i petti dei nostri soldati diverranno un baluardo insormontabile
contro il quale verranno a frangersi le rinnovate cupigdigie alemanne”
(20).
Queste parole
sono tanto più significative perché sono pronunciate pochi mesi prima della
vittoria decisiva di Vittorio Veneto. Dello stesso tono gli interventi di
altri luminari dell’epoca, tra cui Francesco Torraca (21), Isidoro Del Lungo
( 22) e addirittura Guglielmo Marconi, che afferma risoluto:
“Dal
ricordo storico di Pontida e di Legnano togliamo ammaestramento per vieppiù
unire i nostri cuori e le nostre forze in questi epici momenti, così da
preparare una pronta definitiva Legnano che liberi la nostra terra dal
barbaro oppressore fino ai suoi naturali confini”(23
). Pontida è per tutti il momento supremo del riscatto della Patria:
“Pontidae
nomen, Italiae omen”
( 24). È chiara, dopo tutte queste esagerazioni retoriche, la difficoltà di
appurare cosa sia effettivamente successo in quel lontano giorno di tanti
secoli fa. Per cercare di stabilirlo, dovremmo provare ad interrogare le
fonti coeve. Nel farlo, però, si rimane piuttosto sorpresi: quasi tutte
parlano di un giuramento tra città “lombarde”, ma nessuna nomina neanche in
modo indiretto il monastero di Pontida.
Le nostre fonti sul
giuramento di Pontida
Quasi tutte le
cronache sono concordi nel dire che nell’anno 1167 alcuni Comuni lombardi
decisero di stringere un patto di alleanza per difendersi meglio dal
Barbarossa. Il milanese Sire Raul ad esempio racconta che un procuratore
dell’imperatore venne a sapere che i Veronesi avevano stretto un patto con
alcune città lombarde; il monaco Ilarione, biografo di Galdino
(l’arcivescovo di Milano tra i primi promotori della riscossa) racconta che
i Lombardi decisero di ribellarsi all’imperatore ricostruendo Milano, da lui
rasa al suolo nel 1162; lo stesso dice il vescovo Sicardo di Cremona (25).
Miniatura
della
Cronica
di Giovanni
Villani rappresentante una battaglia con il Carrocio in secondo piano
Il vescovo Ottone
di Frisinga, zio del Barbarossa e autore delle importantissime
Gesta
Friderici,
morì nel 1158 e non potè parlare della Lega Lombarda; lo fece però il suo
segretario e continuatore Rahewino:
“I
Cremonesi, i Bresciani, i Milanesi che avevano fatto rientro in città, i
Lodigiani, i Bergamaschi e i Mantovani, confederatisi con i nemici
dell’Impero, si ribellarono”(26).
L’anonimo autore degli
Annales
Mediolanenses Minores
la prende un po’
più alla larga:
“Nel mese
di Novembre 1166 l’imperatore Federico entrò in Lombardia, giunse a Brescia
e devastò tutti i campi e le coltivazioni nei dintorni di Brescia e Bergamo,
fino ai monti. Poi lasciò Roma con l’esercito, incendiò il portico e un’ala
della Basilica di San Pietro e assediò la città; dopo che molti da ambo le
parti ebbero trovato la morte e dopo aver ricevuto degli ostaggi, se ne
andò. A questo punto
(e siamo nel
1167)
i Lombardi
tutti insieme strinsero vicendevolmente un’alleanza e giurarono.
L’imperatore tornò allora a Pavia e cercò di sciogliere i patti e il
giuramento dei Lombardi. E poiché non ci riuscì, se ne tornò in Germania”
(27). Un po’ diverso il resoconto dell’Annalista guelfo di Piacenza:
“Il giorno
giovedì 27 aprile1167 le città della Lombardia stipularono insieme un
giuramento, e i Milanesi immediatamente se ne tornarono in città,
ricostruirono Tortona e innalzarono Alessandria”
(28). Il giuramento viene perciò messo in rapporto con il rientro dei
Milanesi nella loro città dopo che questa era stata rasa al suolo dal
Barbarossa nel 1162. Riecheggia o è riecheggiata in queste parole anche la
narrazione dello stesso avvenimento fatta da Muzio di Modoetia (Monza),
ghibellino e quindi di parte opposta: “Giovedì 27 aprile 1167 le città della
Lombardia fecero insieme un patto; i Milanesi tornarono subito nella loro
città, riedificarono Tortona e costruirono Alessandria”(29). La
corrispondenza è quasi letterale. Entrambi questi cronisti e l’Annalista
milanese (30) pongono nella stessa data il ritorno dei Milanesi; tuttavia
quest’ultimo non concorda con gli altri due circa la data del giuramento,
che viene invece lasciata nel vago. Non parla del giuramento ma solo (e con
toni patetici) della rientrata dei Milanesi un altro Annalista indigeno:
“Nel
frattempo, dopo che molti profughi avevano trasportato le loro cose alcuni
nelle vicinanze di Milano, altri a Como, altri a Novara, altri a Pavia,
altri a Lodi, altri ancora in campagna, arrivarono per primi i Bergamaschi e
poi i Bresciani e i Cremonesi, il 27 aprile 1167, e li ricondussero in
città. Dopo questo fatto, l’arcivescovo Galdino, che si trovava dal papa
Alessandro, giunse il 5 settembre”
(31). Ma il più loquace di tutti, dato che ci racconta anche il contenuto
del patto, è l’Anonimo continuatore di Acerbo Morena, di Lodi come il suo
predecessore. La sua opera ci è giunta in svariati codici; proprio per
questo episodio abbiamo due diverse redazioni, una più lunga, l’altra più
sintetica, entrambe sostanzialmente concordi. Ecco il suo resoconto nella
versione più estesa:
“I
Milanesi, poiché erano oppressi molto di più degli altri Lombardi e dato che
non ritenevano di poter liberarsi né vivere in nessun modo, alla fine si
incontrarono con i Cremonesi, i Bergamaschi, i Bresciani, i Mantovani e i
Ferraresi. Dopo che tutti si furono radunati, e dopo essersi raccontati a
vicenda tutte le angherie e i soprusi che venivano loro imposti dai
procuratori e dai rappresentanti dell’imperatore, decisero che, in caso di
necessità o in mancanza di altra scelta, sarebbe stato meglio morire con
onore piuttosto che continuare a vivere in modo così basso e disonorevole.
Dunque tutti insieme giurarono e strinsero un patto col quale ogni città
aderente si impegnava a soccorrere le altre qualora l’imperatore, i suoi
procuratori o i suoi rappresentanti avessero voluto senza motivo angustiare
o danneggiare qualcuna di esse. E lo giurarono con fermezza, mantenendo
salva tuttavia – così dicevano apertamente - la fedeltà all’imperatore (...)
Finita la riunione, tutti se ne tornarono a casa soddisfatti”
(32). In tutte le fonti esaminate finora, mai una volta si fa il nome di
Pontida. E neanche la data del patto corrisponde a quella tradizionale: non
il 7, ma il 27 aprile 1167. Di quest’ultimo giuramento inoltre non
possediamo nemmeno il testo originale(33), ma ne conosciamo il contenuto
grazie al continuatore di Acerbo Morena. Chi fu dunque a tirare fuori il
nome di Pontida e a stabilire il 7 aprile 1167 come data dell’epico raduno?
Il primo fu il milanese Bernardino Corio nella sua Historia Patria (Storia
di Milano) apparsa nel 1503. Dice infatti il Corio:
“Per il che
Milanesi, li quali più che veruno altro de Lombardia erano aflicti in modo
che fugire non ardivano né stare potevano, deliberarono de fare uno concilio
inscieme con Cremonensi, Bregamaschi, Bressani, Mantuani e Ferraresi, li
quali al septimo d’aprile in el templo di Sancto Iacobo in Pontida nel
Bergamascho convenendosi, furono recitate per ciascuno le recevute ingiurie,
le quale sopportandole, cognosceano più non potere vivere, per il che ad
ogniuno pareva essere melio con honore una sola volta morire che sotto di
tanta tyrannide vivere”
(34).
Il papa
Alessandro III riceve il messo del Barbarossa. Affresco di Spinello Aretino
Da questa
narrazione attinge dichiaratamente Carlo Sigonio, storico modenese, nel
1584:
“Sistemate
queste cose, i rappresentanti di ogni singola città si ritrovarono il 7
aprile presso il monastero di Pontida, tra Milano e Bergamo. (...) Quindi
con decisione comune conclusero un patto con questo motto, che cioè
avrebbero difeso con le armi comuni la propria libertà”
(35). La narrazione dello storico milanese in particolare riecheggia
abbastanza vistosamente quella del continuatore del Morena, ma retrocede la
data di una ventina di giorni. Perché questa di-screpanza con le fonti?
Impossibile stabilirlo con certezza. O il Corio possedeva un manoscritto
della cronaca con una trascrizione della data erronea (ipotesi tuttavia
paleograficamente poco giustificabile) oppure attinse da una fonte a noi
ignota o andata perduta nel corso dei secoli. Questa ipotetica fonte doveva
comunque essere sparita poco dopo l’utilizzo da parte del Corio se Ludovico
Antonio Muratori nel Settecento non la conosceva (36). Fatto sta che dal
Corio in poi Pontida entrò nella tradizione. Poiché nessuno parla di Pontida
prima di lui, è difficile dire se ci sia da credergli oppure no. Nella
prefazione della sua opera egli sostiene che la verità è l’anima della
storia e afferma di aver curato con diligenza le fonti utilizzate e gli
avvenimenti narrati. Tuttavia più di una volta si sofferma a raccontare
episodi assolutamente poco attendibili e particolari biografici pressoché
inventati. Chi ci impedisce di pensare che anche per Pontida non abbia fatto
lo stesso? Comunque la si pensi, bisognerebbe tener conto del fatto che il
Corio, vissuto alla corte Sforzesca, fu incaricato di scrivere la storia di
Milano da Ludovico il Moro, che mise a sua disposizione gli archivi (37).
Il Corio potrebbe in effetti aver preso visione di un documento autentico
per noi perduto. Un’altra fonte in giudicabile dal punto di vista
dell’attendibilità è il brano, contenuto in un codice oggi irreperibile, che
conteneva un catalogo di vescovi milanesi e che fu utilizzato ai tempi di S.
Carlo Borromeo per ricostruire la storia della diocesi. Al nome di Oberto
Pirovano, vescovo appunto ai tempi della costituzione della Lega Lombarda,
si legge:
“Questo
arcivescovo, uomo di somma prudenza, dopo aver tenuto una riunione con le
città confinanti nella chiesa di S.Giacomo di Pontida, nel Bergamasco, allo
scopo di promuovere la ricostruzione della città di Milano, portò
felicemente a termine il suo desiderato progetto, ma, raggiunto in anticipo
dalla morte, non potè portare a termine la sua iniziativa”
(38). Il codice originale che conteneva questo scritto è introvabile,
malgrado le accurate ricerche fatte alla Biblioteca Vaticana; tuttavia esso
fu riprodotto e dato alle stampe prima dello smarrimento del manoscritto.
Non è perciò possibile oggi controllare l’esattezza e l’attendibilità della
testimonianza (l’unica relativamente antica oltre a quella fornita dal
Corio): l’enigma resta così senza soluzione.
La situazione oggi:
un problema irrisolvibile?
Purtroppo dunque
non esiste alcun documento autentico che provi l’esistenza del giuramento di
Pontida. Ma se ciò è vero, lo è altrettanto che non esiste alcun documento
che provi il contrario (39). La questione dunque non è affatto risolta, né,
temiamo, lo sarà mai. Un sussulto a dire il vero lo si ebbe, ed in piena
tempesta risorgimentale, nel 1854, quando, mentre si stavano eseguendo degli
scavi nei pressi del monastero di Pontida, venne alla luce una testimonianza
che sembrava fugare ogni dubbio circa la veridicità storica
dell’avvenimento. Si trattava di quattro lapidi antiche che recavano la
seguente iscrizione: I lapide:
“Federatio/
longobarda/Pontide”;
II lapide:
“Die/VII
apri-lis/MCLXVII”;
III lapide:
“Sub ausp./Alexandri
III/P.M.”;
IV lapide:
“Monaci/posuere”
(40).Inutile dire che intorno al ritrovamento si scatenò una vera e propria
bagarre di
eruditi, storici, patrioti e cultori di memorie locali. Tuttavia fu presto
dimostrato che le lapidi, incise con lettere gotiche, erano assai più tarde:
l’unica cosa che documentarono fu che la leggenda di Pontida nacque e si
diffuse successivamente all’evento. Oggi però molti sono disposti ad
ammettere la veridicità storica del giuramento di Pontida. Tra questi, c’è
il D. Paolo Lunardon, o.s.b., che arreca tutta una serie di possibili
argomenti afavore (41): oltre a fatti storici e a parentele, ricorda la
stretta relazione che esisteva tra questo monastero della bergamasca e la
città di Milano. La posizione ufficiale della storiografia resta comunque
una non-posizione: la maggior parte degli storici più quotati si limita ad
ignorare l’avvenimento (42) oppure dà ad esso uno scarsissimo rilievo.
Questo atteggiamento del resto non ci stupisce più di tanto, soprattutto se
teniamo presente il modo in cui generalmente sono trattati gli argomenti, i
fatti e i personaggi
che hanno fatto
la storia della Padania a partire dalle epoche più remote: quasi sempre
oggetto di una visione storiografica distorta e faziosa, lontani dall’essere
valorizzati in tutta la loro importanza. Di questo modo di fare storia anche
Pontida è stata vittima. Malgrado infatti manchino prove inoppugnabili e
definitive, alcuni studiosi ne rifiutano la realtà storica (43). Chissà
perché, Pontida andava bene solo quando (come durante il Risorgimento o
l’epoca nazionalista) poteva essere usata come simbolo di unità nazionale:
non importa se si commetteva un falso storico clamoroso nello spacciare i
rappresentanti dei Comuni riuniti sulla piana come i progenitori di Cavour,
Mazzini, Garibaldi e compagnia bella. Quei guerrieri medievali infatti non
solo non avevano (né potevano avere) alcun concetto di unità nazionale -
dato che per loro il termine “patria” era applicabile al più alla città di
origine, ed anzi spesso c’era dell’astio non solo tra abitanti di città tra
loro vicine, ma anche tra abitanti della città e rustici del contado da loro
dipendenti - , ma probabilmente, per tutta una serie di motivi storici,
economici, culturali e, perché no, d’interesse, dall’averlo se ne guardavano
bene. La volontà di falsificare la storia - o perlomeno di distorcerla - ha
fatto sì che la Padania per secoli non conoscesse veramente il proprio
passato. Anche per questo, dunque, far luce su Pontida è un’impresa. Oggi
più che mai, inoltre, è un rischio. Qualcuno infatti ha pensato di riportare
in auge il giuramento per uno scopo sicuramente più consono allo spirito
originario dal quale e per il quale era nato: la volontà da parte di singoli
popoli oppressi di lottare contro il proprio oppressore. Un simbolo, dunque,
di libertà, che può mettere a repentaglio un castello di carta creato a
tavolino in meno di un secolo e mezzo e che oggi si rivela in tutta la sua
drammatica fragilità. Anche se nessuno è in grado di dire la parola
definitiva su tutta la questione, che il giuramento sia avvenuto proprio a
Pontida, malgrado il silenzio secolare delle fonti - che peraltro, si sa,
sono spesso soggette a mutilazioni, scomparse e distruzioni più o meno
volontarie -, secondo noi è assai probabile. Un indizio importante è dato
anche dagli ottimi rapporti tra la città di Milano e il monastero, vero e
proprio baluardo nei momenti di riscatto, rifugio dei fuoriusciti che
lottavano per la riconquista delle libertà cittadine. In qualunque modo la
si pensi, per noi è bello pensare che un giorno di primavera di oltre otto
secoli fa un manipolo di uomini coraggiosi decise di unirsi per mettere la
parola “fine” allo sfruttamento e alle prepotenze di cui erano vittime. In
questo senso, forse - e indipendentemente dalla veridicità storica
dell’episodio - Pontida e la Lega Lombarda possono ancora insegnare qualcosa
ai padani d’oggi: fin tanto che essi rimasero uniti, non vi fu mai nemico
abbastanza potente in grado di opporsi alle loro forze.
Il Carroccio
alla battaglia di Legnano, particolare di un dipinto di Massimo d’Azeglio
NOTE:
1) Per una biografia
dell’imperatore e per la storia di questi anni si possono consultare
Ferdinand Opll,
Federico Barbarossa
(Genova: ECIG, 1994) o anche Franco Cardini,
Il Barbarossa. Vita,
Trionfi e Illusioni di Federico I Imperatore(Milano:
Arnoldo Mondadori Editore, 1985).
2) Si veda Henry Pirenne,
Le città del
Medioevo (Bari: Laterza,
1974).
3 ) Pisa nel
1081, Asti nel 1095, Arezzo nel 1098, Genova nel 1099, Pistoia e Ferrara nel
1105, Cremona nel 1112, Lucca nel 1115, Bergamo nel 1117, Bologna nel 1123,
Mantova e Piacenza nel 1126, Modena nel 1135, Verona nel 1136,ecc. Si veda
P.Brezzi,
I Comuni
cittadini: origini e primitiva costituzione
(Milano: ISPI,
1939). Per ciò che concerne Milano, il primo atto che menziona la presenza
del consolato (e quindi, ufficialmente, del Comune) è del 1095 (si veda
l’edizione ne
Gli Atti
Privati Milanesi e Comaschi
a cura di Cesare
Manaresi): si tratta però di un attoprivato, col quale il prete milanese
Ariberto promette al vescovado di Cremona la cessione dei diritti su una
curtis e
su un
castrum
a Bariano.
Il primo documento “ufficiale” del Comune in cui compare il termine
consules
è invece
del 4 luglio 1117: lo si veda ne
Gli Atti
del Comune di Milano fino all’anno MCCXVI,
a cura di Cesare Manaresi, Milano 1919, pagg. 3 ÷ 5.
4) Il testo della
dieta di Roncaglia è pubblicato nei
Monumenta
Germaniae Historica,
nel volume contenente le
Friderici I
Constitutiones,
documento n. 176, a pag. 246. In particolare, il comma 6 relativo al divieto
di fare alleanze tra città e città, tra persona e persona e persino tra
persona e città recita così:
Conventicula quoque et omnes coniurationes in civitatibus et extra, etiam
occasione parentelae, inter civitatem et civitatem et inter personam et
personam sive inter civitatem et personam omnibus modis fieri prohibemus et
in preteritum factas cassamus, singulis coniuratorum pena unius librae auri
percellendis.
Si veda anche M.G.H., DDF I, pagg. 237 ÷ 240.
5) Partecipavano
Verona, Venezia, Vicenza, Padova e Treviso.
6) Cremona,
Bergamo, Brescia, Mantova, Ferrara e, ovviamente Milano. Si veda la
bellissima raffigurazione in bassorilievo del ritorno in città dei Milanesi
oggi conservata al Museo del Castello Sforzesco e che nel 1171 adornava
l’arco di Porta Romana.
7) L’elenco delle
16 città aderenti: Milano, Lodi, Cremona, Brescia, Bergamo, Piacenza, Parma,
Bologna, Modena, Verona, Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Mantova,
Ferrara. Ad esse se ne aggiunsero via via altre, altre ancora parteciparono
solo saltuariamente.
8) Si veda la
carta di donazione in Bruel, IV, pagg. 608 ÷610, n. 3494. Interessante
notare che Alberto da Prezzate professava di
“ex natione
mea lege vivere longobardorum”,
cioè seguiva come la maggior parte dei suoi conterranei contemporanei la
legge longobarda.
9) Si veda
l’edizione del documento nel vol.I de
Gli Atti
del Comune di Milano...
cit., pagg. 5 ÷ 6. L’originale dell’atto è andato perduto, ma esso ci è noto
da due passi delle
“Storie”
del Calco e del Corio, riportati da Manaresi nell’ed.cit.
10)
Giovanni Berchet, Il Giuramento di Pontida, vv. 17-24, in Opere, a cura di
M.Turchi, Napoli, 1972.
11) Giuseppe
Garibaldi,
Proclama ai
Bergamaschi,
(da G.Locatelli Milesi,
Garibaldi
per Bergamo e i Bergamaschi,
in
Bergomum
28, 1934, pagg. 97 ÷ 99) citato in D.Paolo Lunardon, o.s.b.,
Il
Giuramento di Pontida
(Pontida, 1967,
s.e.), pagg. 92 ÷ 94. Riporto un altro brano del proclama:
“Quando le
città lombarde, stanche di gareggiar tra loro, o di sopportare le infami
angherie degli imperatori tedeschi (che si alleavano all’una per combattere
o manomettere l’altra) s’accorgevano delle insidie di quei sudici padroni,
alzavano un grido di unione e di fratellanza, lasciavano l’aratro e
giuravano in Pontida di non viver servi, schiacciavano come rettili in
Legnano le nefande soldatesche del barbaro”.
12) Citato
in D. Paolo Lunardon, o.s.b., op. cit, pag. 92.
13) Si
legga la recentissima edizione del libretto in:
Giuseppe
Verdi, Tutti i libretti d’opera,
vol. I, a cura di Pietro Mioli (Roma: Newton Compton, 1996), pagg. 282 ÷
302. L’opera andò in scena per la prima volta a Roma, al Teatro Argentina,
il 27 gennaio 1849.
14)
Massimo
D’Azeglio,
La Lega
Lombarda
(Pavia: Astra, 1993). Fu pubblicata incompiuta e postuma nel 1871.
15)
Giosue Carducci,
La Canzone
di Legnano,
nell’edizione nazionale delle Opere (Bologna: Zanichelli, 1935-40).
16)
Ad esempio, di Amos Cassioli si veda il dipinto
La
Battaglia di Legnano
del 1870
conservato a Firenze, presso la Galleria di Arte Moderna, oppure di Massimo
d’Azeglio il quadro, con lo stesso soggetto, conservato a Palazzo Pitti,
sempre a Firenze.
17)
Luigi Tosti,
Storia
della Lega Lombarda illustrata con note e documenti
(Montecassino,
1848) riportato, in un più ampio stralcio, da D.Paolo Lunardon, o.s.b., op.
cit., pagg.83 ÷ 86.
18)
Carlo Cattaneo,
Storia
della Lombardia,
cap. XXII (Milano: Rusconi, 1992), pag. 101. L’opera è del 1844.
19)
Il
Patto di Pontida. Commemorazione del 7 aprile 1918 in onore degli studenti
caduti per la patria
(Bergamo, 1918),
citato come i brani seguenti in D. Paolo Lunardon, o.s.b., op. cit.,
pagg.124 sgg. L’avvenimento ebbe luogo per iniziativa del Comitato
Provinciale dell’Unione Generale Insegnanti Italiani e della Lega
Anti-austro-tedesca in occasione dell’anniversario del giuramento.
20)
Ibidem, p. 124.
21)
“Di
contro alla non solo rinnovata, ma di tanto cresciuta rabbia tedesca, questi
devon essere il sentimento e il proponimento di ogni buono italiano; magis
quam gloriosam mortem cum libertate incurrere, quam vitam miserandam
servitute servare
(meglio
incontrare una morte gloriosa con libertà che serbare una vita miseranda con
servitù)”. Ibidem, p. 128.
22)
“Roncaglia, Pontida, Legnano, Costanza, appartengono alla storia, da secoli
tramontata, dei Comuni e dell’Impero germanico: ma nella storia, oggi più
che mai viva, della na-zionalità nostra, chiamata ai supremi cimenti contro
lo stesso nemico di allora, quei nomi assumono un significato che anche la
critica deve riconoscere idealmente legittimo”.
Ibidem, p.130
23)
Ibidem, p.128.
24)“Il
nome di Pontida è d’augurio per l’Italia”.
25)
Di queste testimonianze non ho potuto prendere visione diretta; cito
pertanto da D.Paolo Lunardon, o.s.b., op.cit.,
26)
“Cremonenses, Brixienses, Mediolanenses ad locum suum reversi, Laudenses,
Pergamenses, Mantuani hostibus imperii confederati rebellant”.
Rahewini
Gesta Friderici Im-peratoris.
Appendix, in
Monumenta
Germaniae Historica
(M.G.H.),
Scriptores
rerum Germanicarum in usum schola-rum,1912,
pagg. 349.
27)“A.D.
1167. de mense Novembris dominus imperator Federicus intravit in Lombardiam,
et venit Brixiam, et devastavit blavas et arbores Brixie et Pergami usque ad
montes. Et deinde abiit Romam cum exercitu, et combursit porticum et alam
Sancti Petri et obsedit Romam, multorum ab utraque parte nece accepta et
acceptis inde obsidibus recessit. Et iterum Lombardi se invicem iuramento
insimul pacti sunt. Et imperator Papiam reversus est; et conatus est solvere
iuramenta et pacta Lombardorum. Et cum hoc facere nequiverit,in Alamaniam
reversus est”.
Annales Mediolanenses Minores,
in M.G.H.,
Scriptores
(SS),
vol. XVIII, pag. 395.
28)
“1167. die Iovis 3.Kal. Madii civitates Lombardie insimul concordiam
fecerunt, et Mediolanenses statim intus civitatem redierunt, et Terdonam et
Alexandriam levaverunt et rehedificaverunt
“.
Annales Placentini Guelfi,
in M.G.H., SSvol. XVIII pag. 413.
29)
“1167. die Iovis, 4 Kalendas Madii, civitates Lombardie insimul concordiam
fecerunt, et Mediolanenses statim intus civitatem redierunt, et Terdonam
rehedificaverunt, atque civitatem Alexandrie hedificaverunt”. Mutii de
Modoetia Annales Placentini Gibellini,
in M.G.H., SS vol. XVIII
30)
“Et
eodem anno (sc. 1167) in die Iovis, 5 Kal. Maii Mediolanenses intraverunt in
suam civitatem cum ausilio Brixiensium et Pergamensium et Cremonensium” (“E
nello stesso anno giovedì 27 aprile i Milanesi entrarono nella loro città
con l’aiuto dei Bresciani, dei Bergamaschi e dei Cremonesi”).
Annales Mediolanenses Minores,
cit., pag. 395.
31)
“Interea cum iam multi res suas exportassent, alii iuxta civitatem
Mediolani, alii Cumas, alii Novariam, alii Papiam,alii Laudae, alii ad
villas, venerunt Pergamenses primum et Brixenses et Cremonenses 1167, quinta
febria, 5 Kal.Madii,et introduxerunt eos in civitatem. Post haec vero
Galdinus,qui erat cum papa Alexandro, venit 5 die Septembris”.
Annales
32)
“Mediolanense namque, cum multo magis quam alii Longobardi ita
opprimerentur, quod nullo modo evadere aut vivere posse puterent, tandem cum
Cremonensibus et Pergamensibus atque Brixiensibus seu Mantuanis ac
Ferrariensibus colloquium fecerunt.
Qui omnes
cum insimul coadunati fuissent ac mala et incomoda, a procuratoribus
imperatoris et missis sibi illata, vicissim inter se retulissent, melius
esse cum honore mori, si opporteret et aliter fieri non posset,quam turpiter
et cum tanto dedecore vivere, statuerunt.
Quapropter illi statim fedus omnes inter se inierunt et concordiam. Atque
pactum, hoc videlicet quod unaqueque civitas adiuvaret alteram, si imperator
aut eius procuratores vel missi aliquam iniuriam vel malum amplius sine
ratione eis inferre vellent, firmiter inter se firmaverunt ac
iureiurando,salva tamen, sicut dicebatur palam, imperatoris fidelitate,
corroboraverunt.(...) Quo quidem sic peracto, omnes leto animo ab ipso
colloquio separati sunt”. Anonymi Laudensis Continuatio Acerbi Morenae,
in M.G.H.,
SS vol.XVIII. Questa la versione contenuta nei codici B 4 e 5. La versione
dei codici A 1 e 2 è più sintetica, ma sostanzialmente uguale. Riguardo al
mantenimento della fedeltà all’imperatore, essa riporta che il giuramento
era valido
“salva
tamen semper imperatoris omni fidelitate, quam sibi per hoc pactum
infringere nullatenus intendebant”
(“fatta salva tuttavia sempre la completa fedeltà all’imperatore, che essi
non intendevano infrangere per nessun motivo a causa di questo patto”).
Ibidem.
33)
Non esiste infatti nessun atto ufficiale che contenga il testo del
giuramento del 27 aprile, né tantomeno di quello ipotetico del 7 aprile
1167: gli unici atti ufficiali sulla Lega Lombarda relativi la 1167 sono di
un non meglio precisato giorno di marzo, del 22 maggio, del 27 maggio, del 1
dicem-bre e del 28 dicembre. Si veda l’edizione ne
Gli Atti
del Comune di Milano
... cit. (nella
raccolta, gli atti n. 50, 54, 55, 56 e 57). Tutti i documenti relativi alle
assemblee della Lega sono contenuti in questa raccolta, ma sono editi anche
in Cesare Vignati,
Storia
Diplomatica della Lega Lombarda
(Milano: P.Agnelli, 1866).
34)
Bernardino Corio,
Historia
Patria
(Storia di Milano), Torino: UTET, 1978 (Classici UTET, vol. 1, pagg. 228 ÷
229).
35)
“Quibus rebus compositis singularum legati civitatum VII Idus Aprilis ad
Pontidense monasterium inter Mediola-num et Bergomum convenere (...). Itaque
communi consilio foedus in hanc sententiam percusserunt, se communibus armis
libertatem defensuros”.
Carlo Sigonio,
Historiarum
De Regno Italiae ab anno 570 ad annum 1200 libri XX,
libroXIV, 777.
36)
Si veda su ciò quanto detto in Gian Luigi Barni,
Storia di
Milano,
vol. IV, (Fondazione Treccani, 1954), pagg. 83 ÷ 84, e bibliografia fornita
alla nota 5.
37)
Si veda su ciò quanto detto in Gian Luigi Barni,
Storia di
Milano,
vol. IV, (Fondazione Treccani, 1954), pagg. 83 ÷ 84, e bibliografia fornita
alla nota 5 Si veda l’Enciclopedia
Italiana,
vol. XI, pagg. 411 ÷ 412 sub voce “Corio, Bernardino”.
38)
“Hic
Archiepiscopus, summa prudentia, conventu habitu in Ecclesia S.Jacobi de
Puntida agri Bergomensis de instauranda iterum Urbe Mediolani cum finitimis
civitatibus, votum sui desiderii feliciter implevit: sed morte preaventus
non potuit perfrui desideriis optatis”.
Citato in D.Paolo Lu-nardon, o.s.b., op. cit., pag. 45.
39)
Interessante ciò che sostiene Locatelli Milesi quando afferma che il
giuramento non ebbe luogo a Pontida, ma a Bergamo
“davanti
all’ingresso secondario di S. Maria Maggiore,di facciata al lato della
Cattedrale
(...).
Questa la
storia: ma la leggenda persiste a ritenere che la Lega Lombarda sia stata
fondata a Pontida”.
S. Locatelli Milesi,
La
Bergamasca,
Bergamo, 1942, pag. 269, citato in D. Paolo Lu-nardon, o.s.b., op. cit.,
pag. 34. Una precisione davvero notevole quella del Locatelli, che
ricostruisce il luogo nei minimi dettagli. Su quali basi però, non ci è dato
sapere.
40)
”
Lega Lombarda di Pontida. Giorno 7 aprile 1167. Sotto la protezione di papa
Alessandro III. I monaci posero”.
Si veda la riproduzione delle lapidi in Gian Luigi Barni, op. cit., pagg. 82
÷ 83. Esse si trovano ancora oggi presso il monastero di San Giacomo di
Pontida.
41)
Si leggano tali
argomentazioni in D. Paolo Lunardon, o.s.b., op.cit., pagg. 35 ÷ 53.
42)
Ad esempio, Ferdinand Opll, op.cit, ma anche il volume di A.A.V.V.,
Federico
Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania
(Bologna: Il
Mulino, 1982), in particolare il saggio di G. Fasoli,
Aspirazioni
cittadine e volontà imperiale.
Lo stesso vale per Ruddph Wahl,
Barbarossa
(To-rino:
Einaudi 1945). Propensi ad ammettere la realtà storica di Pontida sono
Giorgio Giulini, il Momigliano e molti altri. Si legga anche il bellissimo
libro di Claudio Roveda,
Pontida.
Abbazia della Concordia
(Pavia:
Editoriale Viscontea, 1997). Recentemente, lo storico Ludovico Gatto in due
suoi libretti di grande divulgazione:
L’Italia
dei Comuni e delle Signorie
(Roma: Newton
Compton,1996), p.41 e
Il Medioevo
(Roma:
Newton Compton, 1994), p.52. Lo stesso fanno molti manuali scolastici.
Franco Cardini riporta la tradizione ma la considera leggenda tardiva:
Franco Cardini,
Il
Barbarossa,
op. cit., pag. 274 e, in generale,
La vera
storia della Lega Lombarda
(Milano: Arnoldo
Mondadori Editore, 1991), passim. E si potrebbe continuare...
43)
Ad esempio il Barni, op. cit., pag. 84 (e nota 1).
|