INSEDIAMENTI DEI GALLI,
SULLA STRADA DEI BOSCHI SACRI
di G. Fumagalli -
Tratto da Quaderni Padani n° 55 Settembre - Ottobre 2004


Rappresentazione pittorica di Brenno a Roma

All’inizio del quarto secolo a.C, i Galli guidati da Brenno sconfissero i Romani presso il fiume Allia, invasero Roma salendo fino sul Campidoglio e si ritirarono solo dopo aver ottenuto un riscatto. L’intera vicenda, narrata da Livio e da Polibio, ha tutte le caratteristiche di una storiella edificante, con tanto di frasi famose e d’interventi miracolosi dell’ultimo momento (ricordate Camillo?). Evidentemente, i particolari della narrazione sono frutto di rielaborazione tarde, ma gli studiosi moderni sono concordi sulla veridicità dell’invasione gallica. Non è più messa in dubbio neppure la figura storica di Brenno; l’ipotesi che il suo non fosse un nome proprio, ma significasse semplicemente “re”o “principe”, non gode più di credito, perché inaccettabile dal punto di vista linguistico. (1)  

Comprensibilmente, può stupire, che un’azione militare tanto ardita non abbia avuto un rilevante seguito e nulla si sappia delle successive imprese di Brenno. I classici riferiscono solo che i Galli se ne tornarono indietro perché furono pagati per farlo, perché erano senza viveri e inoltre il loro territorio era stato invaso dai Veneti. Curiosi indizi, tuttavia, possiamo coglierli in alcuni toponimi, che ricordano la radice del nome del condottiero e si trovano quasi tutti in una zona abbastanza circoscritta, a nord di Milano:  

- Brienno d’Arcisate (VA), dove fú rinvenuto un ripostiglio d’antiche monete,  
- Briennio (CO), località preromana sul lago di Como,  
- Brè, accessibile con una funicolare da Lugano e Breno, poco più ad est,  
- Brenna, vicino Cantù (CO),  
- Brenno della Torre, frazione di Costa Masnaga (LC),  
- Breno al Brembo, ora: Sombrero (BG),  
- Breno antichissimo insediamento in provincia di Brescia.  

Dante Olivieri, autore del noto “Dizionario di toponomastica lombarda”, preferisce collegare la denominazione di queste località al nome celtico “Brenno”; l’accertata frequentazione fin dalla remota antichità, di alcuni di questi siti, avvalla tale accostamento (2).

Claudio Beretta, nel fondamentale studio “Toponomastica in Valcamonica e Lombardia” ricorda che “la radice br dovrebbe significare altura, cioè una posizione elevata rispetto all’ambiente circostante, indipendentemente dalla quota” (3).
Si può benissimo sottoscrivere l’osservazione; ma ci sembra piuttosto riduttiva, poiché la radice non costituisce neppure un’intera sillaba, mentre in questo caso la corrispondenza riguarda praticamente una parola completa. In effetti, quasi tutti questi insediamenti sorgono in località che sovrastano i dintorni, ma si tratta di una caratteristica ricorrente tra gli abitati preromani.  

Non sappiamo per quale via i Senoni giunsero in Italia. È di poco aiuto sapere che provenivano dalla Borgogna, perché le migrazioni dei Celti seguivano itinerari oltremodo tortuosi. Uno possibile passa per la Val Blenio (4) che scende dal Passo di Lucomagno, fino al Ticino: due secoli fa, era ancora chiamata Valle del Brenno (5). Le pagliuzze d’oro del Ticino, che qui venivano raccolte, erano lavorate nella Valcuvia, dove una tribù degli Insubri aveva costruito una fortezza. Essi avevano un centro d’artigianato metallurgico a Breno d’Arcisate e commerciavano soprattutto con Como, tramite una via che passava per il Mendrisiotto (6).  

Gli storici insistono sull’elevato numero di questi Galli: si deve quindi dedurre che percorressero strade di una certa rilevanza. Fino al quarto secolo a.C. la principale via che collegava i valichi alpini con l’Etruria Padana, dove i Galli di Brenno erano diretti, passava presso Como, più esattamente, dove si trovava l’insediamento golasecchiano di Comum Vetus. 

Dopo aver costeggiato il ramo meridionale del Ceresio, questa strada raggiungeva Camerlata, proseguiva lungo una pedemontana fino a Mantova e quindi si dirigeva verso i porti di Spina ed Adria, nell’Adriatico. Era stato un percorso di fondamentale importanza per i commerci del quinto secolo e perse interesse solo dopo gli eventi del secolo successivo, che alterarono profondamente l’aspetto geopolitico. Il fatto che Brenno sia passato da queste parti, potrebbe giustificare la concentrazione geografica di località che ricordano il suo nome. Più marginale geograficamente risulterebbe Breno, dove incisioni rupestri e necropoli testimoniano la presenza d’antichissimi insediamenti. Grazie alla sua posizione strategica all’ingresso della Val Camonica, rivestì un ruolo chiave almeno fino ai tempi dei Franchi, i quali vi costruirono una rocca. All’inizio del quarto secolo a.C. costituiva, di fatto, il confine tra le terre dei Galli e quelle dei Veneti. È probabile che proprio qui sia sopraggiunto Brenno, per respingere i Veneti, i tradizionali alleati dei Romani, quando col loro intervento contribuirono ad allontanare i Galli da Roma. Da questa località, Brenno potrebbe essersi successivamente portato a Medhelanon (Milano), che proprio a partire da quegli anni cominciò ad assumere un ruolo predominante, fino a diventare la capitale dei Galli Cisalpini. In effetti, una tradizione ricorda Brenno come rifondatore della città, che avrebbe chiamato “Alba”. Questo nome significa “altura”o “città per eccellenza” ed è abbastanza diffuso in tutta Italia, ma è particolarmente ricorrente in una ristretta zona attorno a Como. Talvolta è deformato in “Albese “ o “Albate”; in Brianza (dove nel dialetto è ricorrente la consonante zeta ) troviamo “Alzate”.

Discesa dai valichi alpini

Qui, nella tenuta del Soldo, sono state rinvenute tombe galliche. Il comune d’Albavilla deve il suo nome ad un insediamento leggermente in quota (Alba) e ad uno più in pianura denominato Villa; secondo una testimonianza risalente all’anno 1451, il vicino bosco di Saruggia sarebbe stato dedicato a Mercurio (7); con questo i Romani individuavano Lug. La divinità che i Celti veneravano nelle radure dei boschi. Al pari del suo omologo latino, Lug proteggeva i viandanti. I suoi santuari si trovavano lungo le principali strade. Presso il boschetto di Saruggia correva il tratto pedemontano della citata via degli scambi commerciali.

Non ci sono esplicite conferme, ma ci piace immaginare il gran condottiero, nella veste più pacifica d’uomo politico, impegnato a dare un nuovo assetto agli insediamenti celtici.  

Quest’interpretazione figura nei testi classici. Compare per la prima volta negli scritti di Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi e viene ripresa, alla fine del decimo secolo, nello scritto conosciuto con il nome :”De situ civitatis Mediolani”. La “rifondazione “di Milano è stata collegata ad un evento storico; nel 385 a.C. gli Insubri si allearono con Velletri, Tivoli e col tiranno greco di Siracusa Dionigi il Vecchio contro Roma. Quest’accordo avrebbe potuto essersi concretato nella Gallia Cisalpina, presso il santuario di Medhelanon, che sarebbe diventato il centro delle operazioni (8).

Alba, in ogni caso, non distrusse il santuario; ma da questo momento Medhelanon perse il suo carattere esclusivamente sacrale, per diventare un insediamento urbano (9); più tardi la città si ampliò, includendo sia la zona santuario, sia quella abitativa.

Le sacre radure dei Celti, non erano certamente delle città (anche perché si trovavano nei boschi!), ma svolgevano alcune funzioni tipiche di un sito urbano: in particolare, quelle religiose, commerciali, militari, amministrative e giudiziarie. È naturale, che in un secondo tempo e a debita distanza, si possano essere costituiti dei centri abitati, con struttura protourbana. Tutto lascia credere che questo fenomeno sia iniziato con l’arrivo dei Galli di Brenno: gli insediamenti abitativi vennero genericamente chiamati Alba, ma in qualche caso prevalse il nome del fondatore.


Quanto avvenne a Milano, può essersi verificato anche a Como, dove la Comum Vetus, formata da villaggi sparsi, arroccati sulla collina e lontani da strade, era già in declino. Albate nei pressi del santuario di Lug nella selvetta di Camerlata dove convergevano più strade, poteva essere un sito abitativo più idoneo. Per ora, la necropoli di Albate ha restituito solo reperti attribuiti al periodo di Golasecca, anche se hanno una tipologia ben distinta dagli altri manufatti di Comum Vetus.

Potrebbe trattarsi di curiose combinazioni, ma le coincidenze non finiscono qui: basti pensare Brè e Breno, nei pressi di un altro santuario di Lug, ricordato oggi dal toponimo Lugano. Esso era posto sull’importante strada per i valichi alpini, che nei secoli precedenti aveva costituito il principale itinerario per i commerci, tra i Celti e il mondo mediterraneo. Proprio nel quarto secolo a.C., questa via di comunicazione cominciò a perdere importanza e successivamente Lugano venne raggiunta percorrendo per nave il tratto tra Como e Brienno, per poi attraversare le valli d’Intelvi e scendere a Melano, la cui etimologia (come per Milano) suggerirebbe la presenza di una sacra radura, nei pressi della importante via di comunicazione .

L’origine preromana del borgo di Brienno è documentata dal rinvenimento di due cippi marmorei, con diversa dedicazione; una a Giove, d’indiscussa origine latina, l’altra alle Matrone, divinità della tradizione celtica, venerate soprattutto presso le acque. Questo culto risalente ad un originario nucleo di popolazione gallica, continuò ad essere tributato presso le rive del lago,anche dopo alcuni secoli di romanizzazione.


C’è un particolare importante, che accomuna Brenna agli altri insediamenti, legati al nome di Brenno: l’esistenza di un luogo sacro in un bosco. L’antichissima chiesa di Sant’Adriano d’Olgelasca si trova ad un miglio dal paese, in una zona agricola: con buona probabilità, a carattere boschivo nell’antichità.  

La scelta di questa posizione decentrata è stata attribuita ad una tradizione di continuità nella venerazione di un “recinto di terreno sacro”, da parte della gente del luogo. Essa fu considerata tale nell’epoca cristiana, anche come eredità di più antiche funzioni nell’ambito religioso: sono state trovate tracce d’epoca medioevale, paleocristiana, romana e preromana (10).

Sombrero (nel comune di Paladina, BG) è collegato ad un sito golasecchiano e ad uno gallico: distanti complessivamente quasi dieci miglia, ma accomunati dalla vicinanza allo stesso fiume. A Mariano al Brembo sono stati trovati reperti sicuramente gallici: inclusa una spada di ferro ritualmente piegata. Scendendo il corso del fiume si trovano i resti della necropoli di Brembate Sotto. Essa testimonia una ricca comunità del quinto secolo a.C., attestatasi in un punto dove il fiume era facilmente attraversabile: vi transitava la Via Pedemontana di espansione del commercio etrusco, che puntava al  Forcello di Bagnolo S.Vito (MN), per dirigersi poi ai porti di Adria e Spina. Sombrero è giusto sul confine del comune di Bergamo. L’abitato era un tempo chiamato Breno al Brembo. L’attuale denominazione implica un Summus Brenus, “Breno Alto”. Oggi è chiamato ancora Breno (Brè, in dialetto) il colle sul quale sorge un noto santuario mariano, tuttora raggiungibile per un antico sentiero che da San Vigilio corre lungo il crinale delle colline occidentali di Bergamo” (11). Mosé del Brolo (un bergamasco, che fu attivo alla corte di Costantinopoli) nel” Liber Pergaminus “(1130) attribuì la fondazione del paese a Brenno, leggendario re dei Celti, il quale avrebbe edificato un castello nel luogo dove ora si trova il santuario dell’Addolorata (12). Si ha notizia di un antico castello, probabilmente opera militare del Medio Evo, citato nel (1096) come “infra castro Breno”. La leggenda cantata da Mosè del Brolo non avrebbe alcun fondamento, se non fosse confortata da altre argomentazioni.

Non è questa la sede, per appurare se siffatte intuizioni costituiscono prove inconfutabili; ci basta suggerire che forse, dietro al rinnovamento urbanistico del quarto secolo, ci fu la mano del comandante dei Galli Senoni. Paolo Diacono, nella “Storia dei Longobardi”, ricorda che i Galli di Brenno fondarono le città di Pavia, Milano, Bergamo e Brescia (13). È accertato la doppia fondazione di Bergamo, perché ci sono consistenti conferme archeologiche: l’Oppidum Orobiorum (golasecchiano), del quale parla Catone, ha un’organizzazione ben diversa dal Bergomum che fondarono i Galli. Anche per Milano, sembra piuttosto arduo sostenere che la fondazione da parte di Belloveso e la rifondazione di Brenno siano solo distinte narrazioni di un unico evento, come taluni interpretano.

Il nome di Brenno ricorda Bran, il corvo, l’animale dell’oracolo, caro al dio Lug, che era considerato anche il nume della profezia (14). Possedere la conoscenza del corvo era la qualità che spettava a chi aveva il potere supremo, come il comandante di un’impresa bellica molto ardimentosa; oltre che mostrare dove si poteva fondare una città, il corvo era il saggio, che fungeva da arbitro nelle dispute. Il condottiero dei Senoni aveva tutte le doti necessarie per portare a termine tali realizzazioni: non era solamente un uomo forte e deciso (come tutti sanno).

Livio ci racconta che Brenno era anche un buon diplomatico, rispettoso del “diritto delle genti. I Galli, che egli aveva guidato, si stanziarono nelle terre che erano appartenute agli Etruschi, dai quali certamente appresero le tecniche per fondare le città. Nessuno meglio di Brenno può essere stato in grado di applicarle a nord del Po, quantomeno in quell’area dove già esistevano insediamenti protourbani golasecchiani e dove più frequentemente oggi compaiono toponimi che ricordano il suo nome.

Nel 1995 è stato rinvenuto a Brenno della Torre un masso avello, che potrebbe gettare una nuova luce sulle ultime vicende di Brenno.
Questi avelli sono sepolcri, scavati in massi erratici, trasportati dai ghiacciai durante le glaciazioni e sono abbastanza frequenti attorno a Como. Gli studiosi sono per lo più concordi, nel ritenerli considerevolmente posteriori alla calata dei Galli. L’aspetto curioso di queste sepolture, è la totale assenza, sia di scritte (che compaiono solitamente sui manufatti romani), sia di simboli cristiani (come ci saremmo attesi da un’età successiva). Questa singolarità potrebbe anche far pensare a realizzazioni preromane :ovviamente, sono da escludere le popolazioni che praticavano l’incinerazione. Per tale motivo è logico pensare ai Galli. In questo caso, l’incavo è stato predisposto per una persona alta quasi un metro e ottanta: cosa che avvalora la nostra ipotesi. Se vogliamo credere, che il masso recentemente trasferito accanto alla chiesa del paese abbia un qualche collegamento con Brenno, potremmo pensare ad uno scavo molto antico, seguito da un riutilizzo, avvenuto qualche secolo dopo. È un’eventualità che non ci sentiamo di escludere. Anche Brenno della Torre è ubicato in posizione sopraelevata: il suo nome è legato alla “Torre di Brenno”, una preesistente torre semaforica, la cui realizzazione potrebbe perdersi nella notte dei tempi.

(1) Enciclopedia Italiana Treccani, alla voce” Brenno “, vol,VII, pag. 802
(2) Dante Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda, Lampi di Stampa, Milano 2001, alle voci “Brenno”e “Breno”, pag. 126
(3) Claudio Beretta , Toponomastica in Valcamonica e Lombardia, Edizioni del Centro di Studi Camuni, Capodiponte (BS),1997,pag. 105
(4) Club Alpino Italiano, Sentieridi Lombardia, Regione Lombardia, 1984,pag. 92
(5) Amati, Dizionario corografico d’Italia, ediz. Vallardi, Milano, 1878, vol.I, pag. 995,alla voce “Brenno (val del…)

(6) Roberto Corbella, Celti : itinerari storici e turistici, ediz. Macchine, Azzate (VA),2000, pag. 114

(7) Longoni, Le corti medioevali nell’alto Lambro. Lecco,1987,pag. 46
(8) Maria Grazia Tolfo, Medhelanon-Medolanum, Comune di Milano,1988, pag. 48
(9) Maria Grazia Tolfo  Medhelanon-Medilanum, Comune di Milano,1988, pag. 49
(10) Oleg Zastrow,la chiesa di sant’Adriano a Olgelasca di Brenna, Comune di Brenna,1987, pag. 24
(11) Umberto Zanetti, Paesi e luoghi di Bergamo, note di etimologia di oltre mille toponimi, Edizioni Grafica e Arte. Bergamo
(12) Mosè del Brolo, Liber Pergaminus, Biblioteca civica , Bergamo,1914, pag. 7
(13) Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1992, pag. 104
(14) Tolfo, op,cit, pag.20


 

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