LE INSORGENZE ANTIGIACOBINE
BERGAMASCHE
29 & 30 MARZO 1797
di Fabio Bonaiti -
Tratto
da "Quaderni Padani" Anno VI, N. 29 - Maggio-Giugno 2000
Dipinto rappresentate le insorgenze veronesi
Premessa
I fermenti definiti “controrivoluzionari”, a carattere popolare e di
chiara matrice cattolica, interessarono i territori di Bergamo nel marzo
del 1797. La stabilità sociale, religiosa e politica
nota come pax veneta – venne compromessa definitivamente, ancorché
già minata in precedenza dal diffondersi delle idee illuministiche.
Tradizioni e consuetudini molto antiche, da secoli rispettate, furono
sovvertite: l’abolizione della vicina (sistema di democrazia diretta),
il divieto di compiere cerimonie religiose in pubblico (compresi i
funerali), l’imposizione della leva obbligatoria colpirono duramente il
modus vivendi costituito fra le genti bergamasche. In un simile stato di
cose, una reazione era quindi prevedibile, una reazione di gente umile,
spesso povera, ma pronta a morire per difendere quella società a misura
d’uomo così osteggiata dall’ideologia giacobina.
Fatti
La cosiddetta “Rivoluzione” di Bergamo avvenne in realtà in modo
tragico. Benché le idee giacobine avessero fatto presa su alcuni
esponenti della nobiltà, si trattò comunque di una vera e propria
occupazione militare da parte dei Francesi. Il 12 marzo 1797 la città fu
sistematicamente assediata dalle truppe transalpine (che puntarono i
cannoni sui punti nevralgici quali la rocca, la piazza, il municipio,
porta Sant’Alessandro), vennero allontanati gli amministratori veneziani
e, sempre sotto la minaccia delle armi, la popolazione fu costretta a
sottoscrivere un documento in favore della fine della “tirannia”
veneta. Il glorioso stendardo di San Marco veniva calato dopo 371 anni
lasciando il posto alla costituenda “Repubblica Bergamasca”. E il
tutto, sotto l’occhio remissivo del podestà e la posizione di
sostanziale appoggio da parte del Vescovo Dolfin e del clero cittadino
bergamasco che predicava l’adesione alla municipalità giacobina. Ma,
d’altra parte, non di un moto popolare spontaneo si trattò quanto, più
semplicemente, di una congiura ordita da nobili filofrancesi ai danni del
debole governo veneto. In buona sostanza, questo evento significò la fine
del luminoso e secolare dominio serenissimo sulla bergamasca. Se in città,
intimorita, la popolazione non ebbe il coraggio di reagire, non così
avvenne per gli abitanti della Valle San Martino, Valle Imagna, Valle
Brembana, Valle Seriana, Val Gandino e Val Cavallina, i quali, rifiutando
le innovazioni giacobine, riconfermarono fedeltà assoluta alla Repubblica
di San Marco, gettando le basi della cosiddetta “Controrivoluzione”
bergamasca: al suono delle campane, si organizzò spontaneamente un vero e
proprio esercito popolare che marciò sin sotto le mura della città di
Bergamo al grido di «Viva San Marco, viva la Religione, abbasso il
governo bergamasco!».
La
fedeltà delle popolazioni valligiane a Venezia ben si riassume in questa
missiva indirizzata al Doge e al Senato Veneto un anno prima (7
luglio1796): «La gratitudine verso gli innumerevoli benefizi versati
sopra di noi dalla Serenissima Repubblica, che per tanti secoli fra noi
mantenendola giustizia, la sicurezza e la felicità colle sue leggi
clementi, ne dona il dolce diritto di chiamarci più figli ancora che
sudditi del suo paterno imperio […] per questi oggetti sentiti
profondamente dagli abitatori delle infrascritte valli, e dai corpi
infrascritti del piano e con tanta rapidità ed ardore abbracciati dai
rispettivi consigli, essi hanno colle unite parti spiegato il vivo
desiderio di spendere il sangue e la vita in difesa del Serenissimo
Principe con uno sforzo degno di noi e di quella devozione pervenutaci in
retaggio dai nostri maggiori e poniamo ai piedi del trono del Serenissimo
Principe l’offerta del numero di diecimila uomini de’ nostri abitanti
atti alle armi».
I Valdimagnini si unirono, come consuetudine già dal Medioevo, ai
rivoltosi della Valle San Martino e, riuniti tutti a Caprino (località
Capo Mandamento), nominarono quale capo un certo Moscheni il quale ordinò
subito di inalberare un grande stendardo veneziano. Il movimento raggiunse
poi, al suono di tamburi e di inni a San Marco, Ponte San Pietro e quindi
Bergamo. Un errore di valutazione da parte degli insorti, non ben
informati sulla reale consistenza delle forze francesi e giacobine, e la
fulminea risposta di queste ultime a colpi di artiglieria, trasformarono
l’insurrezione in una carneficina. Migliaia di controrivoluzionari
caddero sul campo e molti vennero inseguiti nelle valli, catturati e
giustiziati. Era il 30 marzo 1797.
Un frate e un Brigante. Incisione ottocentesca
Si concludeva in modo tragico l’unico grande tentativo di insorgenza
antigiacobina nel bergamasco, iniziativa di valorosi montanari ribellatosi
per difendere la loro famiglia, la legittima proprietà e la loro stessa
fede. Alcuni sopravvissuti, però, si unirono ai Bresciani, solo pochi
giorni dopo anche Brescia insorgeva e alcuni focolai scoppiavano a Lonato
e in altri centri vallivi e altri ancora raggiunsero il Tirolo per
continuare a combattere per la libertà.
Bibliografia:
Luca De Pero, Bergamo, “Brescia e le valli della Lombardia Veneta”
(estratto da AA.VV., Le insorgenze antigiacobine in Italia, 1996);
Riccardo Giulio Bevilacqua, “Rivoluzione e controrivoluzione a Bergamo e
nel suo territorio”, in Controrivoluzione n. 12-13/1991;
Massimo Viglione, Le rivolte dimenticate, Roma, Editrice Città Nuova.
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