LE FESTE DEL PRIMO MAGGIO NELLA
BERGAMASCA
di Piergiorgio Mazzocchi - Tratto
da
Terra
Insubre n°6 Beltaine 1998
La primavera
La
festa del primo di maggio è particolarmente sentita nei paesi
della bergamasca e, più in generale, in tutta l’area alpino-padana, con
addirittura delle vere e proprie “isole felici” dove gli antichi riti
della festa celtica di Beltane sopravvivono ancora oggi.
Infatti, anche se alla fine del secolo scorso e inizi del ‘900, le forze
politiche emergenti dal mondo operaio collocarono la festa dei lavoratori
nella giornata del primo Maggio, questa già esisteva, anzi, sopravviveva
da antiche feste pagane. Qualcuno quindi pensò di emulare quanto era già
stato fatto da altri: innestare una nuova festa su una ricorrenza già
esistente.
Non a caso il Maggio viene celebrato soprattutto nelle campagne e in zone
con prevalente cultura contadina come la collina o la montagna e non in
zone di “cultura operaia”. Tantissimi sono i riti sopravvissuti: da
quelli della questua delle uova con compagnie di suonatori e cantori che
vagavano tutta la notte da un cascinale all’altro, alle scampagnate sui
monti e nei boschi fatte soprattutto da gruppi di giovani. Particolare era
l’usanza in molti paesi della bergamasca di portare fiori, durante la
notte del primo Maggio, sul portone o sulle porte delle ragazze. Posare un
fiore piuttosto che un altro, non era per nulla casuale, poiché ad ogni
fiore corrispondeva un preciso significato. Purtroppo non sono ben
conosciuti tutti i significati che venivano dati ad ogni essenza. Ne citerò
alcuni, sottolineando lo spirito della festa durante la quale ci si
permetteva alcune licenze, soprattutto quando si trattava di esprimere un
giudizio su una ragazza. La cosa ovviamente non era ben vista da i
genitori di questa, i quali vegliavano anche tutta la notte per evitare
che qualcuno posasse piante non gradite. L’abilità consisteva proprio
in questo: aspettare tutta la notte il momento opportuno e poi, al
mattino, la sorpresa: la bella trovava rami di nocciolo, rose galliche
(ora quasi scomparse anche dei giardini), narcisi o mughetti, fiori che si
potevano raccogliere dopo ore di cammino sui monti vicini, quindi segno di
bravura e resistenza da parte di chi li aveva raccolti e dimostrazione di
affetto; i “non ti scordar di me” e via via scendendo alla gamma dei
significati, fino ad arrivare agli apprezzamenti più pesanti: rami di
betulla alle “leggere”, trifoglio se proprio “libertine”.
A Villa d’Almè, paese dove abito e dove sono nato, questa antica usanza
cessò intorno alla fine degli anni ’40 inizio anni ’50,
nell’immediato dopoguerra quindi, ma non per le mutate abitudini dovute
ad un cambiamento di modo di vivere o di cultura, bensì perché, data
anche la situazione caotica soprattutto attorno al 1948, i giovani del
paese esagerarono un po’.
Senza dilungarci sulle varie vicissitudini, come già detto, anche quel
piccolo angolo di mondo era appena uscito da una guerra civile, con tutti
gli strascichi che possono avere queste situazioni; fatto sta che su
qualche portone vennero appesi anche dei fantocci raffiguranti una capra
(testardaggine e bruttezza) o un’oca (stupidità) e davanti ad alcune
porte carrette di …letame.
Fu proprio un “quarantotto”: chi andò in caserma e sporse denuncia,
chi se la prese con il curato, e chi andò oltre… Se ne parlò per
diverso tempo e ricordo che dopo anni qualcuno ancora parlandone rideva, e
qualcun altro si adombrava.
Un’altra bella tradizione è quella del “portare l’albero” o il
“mazzo”. La più viva ancora oggi è quella di Ponte Nossa, in Valle
Seriana. Con il rituale ben codificato le cui origini si perdono nella
notte dei tempi, i giovani del paese (di solito i coscritti, accompagnati
da alcuni più esperti) tagliano alla mattina del 25 aprile un abete di
circa dieci metri e del peso quindi di 5 o 6 quintali; dopo aver caricato
il “mas” su un camion (un tempo su un carro trainato da cavalli) lo
portano in paese dove viene ornato con festoni e fiori di carta preparati
dalle ragazze del paese; l’albero viene quindi benedetto e, al suono
della banda, portato in un prato come un mazzo di fiori.
Qui viene sfrondato, privato dalla corteccia e lasciato fino al mattino
del primo di Maggio. Sempre i giovani, di buon mattino, porteranno
l’abete sulla cima del monte di fronte al paese; si tratta di una
montagna molto ripida, e portare l’abete fin lassù richiede particolare
forza ed anche buona ed anche buona conoscenza del sentiero ripidissimo e
della tecnica di trasporto che deve procedere come scandita da un
orologio.
Infatti sei persone portano il “mas” ed altre sei lo tirano con una
corda preparata appositamente e lunga 60 metri e tutti prendono ordini dal
capocorda che di solito è il più vecchio della squadra.
Sulla cima del monte l’albero verrà issato, piantato in un foro e
fissato con dei cunei, il tutto si deve svolgere entro le nove del
mattino; a quell’ora infatti si alza un vento locale che renderebbe
difficile e pericolosa l’operazione. L’albero rimarrà piantato fino
al primo giorno di Giugno, quando la sera, dopo averlo tagliato a pezzi,
verrà bruciato dando inizio alla festa della “Madonna delle lacrime”
che si tiene il due Giugno nel santuario di Ponte Nossa dal 1511. Circa
l’origine della festa ci sono delle leggende locali, anche se la festa,
sotto varie forme, è celebrata in diverse località.
Qui si dice comunque che l’albero viene piantato per un voto fatto dagli
abitanti in seguito all’uccisione di un coccodrillo marino che infestava
la zona, un tempo coperta da un lago. In effetti appeso al soffitto del
santuario c’è un coccodrillo imbalsamato, anche se a dire che è
proprio quello… ce ne corre. Interessante è anche il giorno del taglio:
il 25 Aprile è il giorno di San Marco (santo patrono e protettore della
Serenissima Repubblica!).
Ho cercato di essere breve nella descrizione dei rituali per dare ad
ognuno di rimuginare le cose secondo il proprio gusto e le proprie
conoscenze, ma soprattutto perché questo voleva essere solo lo spunto per
una ricerca sul proprio territorio. Ricerca che, unita ad una analisi
appropriata, può portare alla riscoperta di antichissimi cerimoniali
miracolosamente sopravvissuti durante i millenni, alla faccia dei
detrattori e dagli iconoclasti che hanno sostenuto politiche e religioni
di stato.
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