UN ARTICOLO NON PUO' CANCELLARE
LA NOSTRA STORIA
di Piergiorgio Mazzocchi - Tratto
da "La
Padania" Dicembre 1998
La Danza Macabra dei Baschenis di Pinzolo (TN)
Da una recente trasmissione a Radio
Padania, durante la quale è stato contestato un articolo di Della Loggia
dove si asseriva che la festa di Halloween non è altro che una
"americanata" e che le zucche in Padania non hanno niente a che
fare con la nostra cultura, si è potuto constatare, grazie alle
numerosissime telefonate da tutte le regioni del Nord, che la festa di
Samain (capodanno celtico), nonostante duemila anni di Cristianesimo, è
ancora sentita anche se il significato iniziale è andato perduto. La
festa di Ognissanti e dei morti, soprattutto nel mondo rurale, era infatti
molto vissuta e celebrata con alcuni riti e tradizioni particolari di
chiara origine celtica.
La festa di Ognissanti, nata in Francia su iniziativa di alcuni ordini
religiosi, ebbe origine dal fatto che i popoli celtici, dopo mille anni di
cristianizzazione avevano mantenuto l'usanza di festeggiare il Capodanno
celtico che cade il 1 Novembre. In questo modo cercarono di porre termine
a questa festa pagana collocandola nell'anno liturgico cristiano e
dedicando il 1 Novembre a tutti i santi e il secondo giorno a tutti i
morti. In seguito essa fu estesa a tutta la Cristianità (anno 1300
circa). Molte erano le credenze che ricordavano gli antenati defunti, come
ad esempio che nella notte dei Samain i due mondi - il nostro e il loro -
potessero comunicare.
Ancora oggi in molte zone, la sera del 1 Novembre, si lascia sul tavolo
della cucina qualcosa da mangiare per i defunti che tornavano a far visita
ai loro cari, soprattutto castagne, o dolcetti come le fave dei morti, o
anche delle fave vere, del vino. Io stesso da piccolo sentivo raccontare
che durante la notte tra il primo e il 2 Novembre, da un bosco poco
lontano, dopo il suono dell'Ave Maria, si avvicinavano al paese di Villa
d'Alme in processione gli scheletri dei morti della peste del 1630, i
quali dal luogo in cui erano stati sotterrati andavano ad una chiesetta a
loro dedicata.
Un anno in cui la neve era caduta in anticipo, al mattino
seguente sulla neve erano rimaste visibili le impronte lasciate dagli
scheletri. Alcuni abitanti del paese che si erano attardati all'osteria
avevano visto la processione che nella notte sfilava silenziosa avvolta in
teli bianchi.
Fotografia di spettro inglese
Le leggende sulle processioni dei defunti sono sparse un po' ovunque. A
Roncola S. Bernardo, un paese situato a mille metri sul monte Linzone, c'è
una località chiamata "La Corna Marsa". Nel secolo XVI una
parte del monte franò coprendo un convento di frati Olivetani. Anche qui
si narra che nella notte i frati si rechino in processione verso il paese.
Nella prima settimana di Novembre, in alcuni paesi ci si recava verso sera
al cimitero per mettere una lanterna sulle tombe di famiglia. È
interessante l'uso della lanterna perché si rifà all'uso della zucca
svuotata, con il lumicino all'interno.
La Lumera Padana
Quest'uso è forse il più universale tra le tradizioni rimaste del
capodanno celtico. Le zucche venivano messe un po' ovunque, sugli alberi
in campagna, sulle siepi, negli angoli bui, nei finestrini delle cantine,
e questo per spaventare eventuali spiriti non graditi. Durante questa
notte magica gli animali parlavano. Mi raccontavano infatti che un mio
bisnonno percorrendo una stradina, famosa per essere frequentata dagli
spiriti, lanciò un sasso a un gatto che miagolava su un muro: «Tiremen
amò ü, sè te sè bù» si sentì rispondere dal felino.
Altro aspetto importante del Capodanno celtico era il cibo con i suoi
precisi significati.
Le famiglie si ricongiungevano: rientravano nella casa paterna quei figli
che sposandosi avevano cambiato paese, tornavano quelli che erano
emigrati. Laddove si produceva vino era ancora in atto la torchiatura e il
torchiato veniva messo sul tavolo nella sègia (secchio di legno) e si
attingeva abbondantemente con il basgiot (scodella di legno). La zucca
d'orzo era il piatto di rito ed è rimasto ancora come tradizione
soprattutto nella bassa bergamasca. L'orzo per i Celti significava
fertilità e ricchezza. Nella zuppa si mettevano anche pezzi di maiale,
l'animale sacro dei Celti: questa zuppa aveva quindi un significato
beneaugurale come lo possono essere le lenticchie nel Capodanno attuale.
Si mangiavano anche dei legumi, soprattutto fave che hanno poi ceduto il
posto a dolcetti che si chiamano appunto "fave dei morti". Pare
che quest'uso sia dovuto al fatto che i defunti avevano il potere di
rinascere nelle fave.
Gli usi legati al Capodanno celtico in alcuni casi sono stati spostati di
qualche giorno, come i contratti agricoli che un tempo scadevano con il
finire dell'anno. In questa sede mi sono limitato a ricordare quanto ho
raccolto in anni di ricerca, che hanno dimostrato come certe tradizioni
che risalgono alla notte dei tempi sono rimaste e sono ancora sentite. Non
è di certo sufficiente quindi un articolo sul Corriere della sera per
cancellarle.
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